"Partenope avrebbe sedotto anche il Bardo"

Intervista a Ruggero Cappuccio
Di Germana Squillace
Una pièce dedicata ai “Sonnets” di Shakespeare e un’altra ispirata ad “A Midsummer Night's Dream”, una delle opere più celebri del Bardo di Stratford upon Avon. Il regista teatrale Ruggero Cappuccio torna nei teatri campani con Sogno di una notte di mezza estate e Shakespea Re di Napoli. Il primo, con la regia di Claudio Palma e le performance di Isa Danieli e Lello Arena, andrà in scena dal 10 al 21 febbraio al Teatro San Ferdinando di Napoli e l’11 marzo al Teatro delle Rose di Piano di Sorrento. L’altro, con testo e regia dello stesso Cappuccio e con protagonisti Claudio Di Palma e Ciro Damiano, sarà il 27 e il 28 febbraio al Teatro Verdi di Salerno e dal 2 al 6 marzo al Teatro Nuovo di Napoli. Shakespea Re di Napoli è uno spettacolo che calca i palcoscenici italiani da più di vent’anni, e come spiega Cappuccio: “il mio lavoro e quello dei protagonisti non si è mai fermato. Siamo mutati interpretativamente e interiormente mentre continuavamo a mettere in scena l’opera”.
Cappuccio, questa pièce racconta di Willie Hughes. Un personaggio, sulla cui esistenza vi sono ancora dubbi, ma che secondo alcuni studiosi avrebbe ispirato i 154 Sonetti shakespeariani. Come mai ha scelto di raccontare la sua storia?
“Fin da giovane ero interessato alla scrittura di Shakespeare e al lavoro che aveva svolto scrivendo i Sonetti che, secondo me, rappresentano il mistero letterario più rilevante nella storia degli ultimi quattro secoli. Quando li leggevo pensavo ‘ma per chi sono stati scritti?’. Fino alla fine dell’Ottocento l’idea dominante era che il Bardo li avesse dedicati a un nobile inglese. Ma la dedica che l’autore appone nella prima edizione dell’opera è ‘Mr W. H.’. Però non era possibile, all’epoca, fare una dedica a un aristocratico senza indicarne i titoli o il nome per esteso. È evidente che dietro quelle due iniziali si nascondeva qualcun altro: un attore della sua compagnia che interpretava ruoli femminili. È a questo mistero che mi sono appassionato”.
Lei ha inventato anche una lingua per poter meglio raccontare questo mistero…
“La lingua di Shakespeare è estremamente musicale e ritmica. Scriveva in versi, endecasillabi, settenari. L’italiano moderno è una lingua analitica che non si presta alla sintesi carnale del teatro. E allora ho pensato che questa storia potesse essere raccontata dal napoletano del Seicento piegato alle mie tendenze mentali e alle necessità musicali. Mi sono domandato come un linguaggio del genere potesse essere recepito e accolto, ma la mia idea era che gli spettatori non dovessero capirla ma sentirla su un piano emozionale”.
Vi sono differenze tra il napoletano di Shakespea Re di Napoli e quello parlato in Sogno di una notte di mezza estate?
“Sì, perché in quest’ultima opera il napoletano attinge a forme antiche che vanno dal Seicento all’Ottocento. È una lingua con diverse canalizzazioni, che oscilla tra ieri e oggi, parlata da Oberon e Titania per raccontare la relatività del tempo. Invece la lingua di Shakespea Re di Napoli ha una sua purità linguistica”.
Che ruolo hanno i burattini in Sogno di una notte di mezza estate?
“Sono duplicazioni dei personaggi in scena, una proiezione esterna dell’io dell’attore. Ciascuno di noi dovrebbe avere il compito e la possibilità di guardare a se stesso anche dall’esterno”.
Napoli è comunque sempre protagonista nelle sue opere…


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