Al Teatro Comunale 13 e 14 febbraio
Di
Matilde Natale
Tony
Laudadio attore, regista, scrittore, musicista. Molte passioni e interessi
diversi, molto garbo e savoir-faire. La chiacchierata che segue è solo un
piccolo assaggio di quello che è il mondo poliedrico di un artista tanto
versatile. In questo week end (13-14 febbraio 2016) potrete trovarlo al Teatro
Comunale “C. Parravano” di Caserta con lo spettacolo Dolore sotto chiave, mentre in libreria troverete il suo terzo
romanzo L’uomo che non riusciva a morire (NN
editore, 2015).
Cosa le dà più soddisfazione Il suo
lavoro d’attore, di regista o di scrittore?
“Questa è una domanda molto
difficile, me l’hanno già posta, in verità, e non riesco mai ad essere
esaustivo nella risposta. In realtà, non li considero troppo distanti tra loro,
sono un filo unico. Certo è che l’applauso alla fine di uno spettacolo è una
ricompensa immediata e visibile, e anche alcuni commenti ai romanzi, quelli
intensi e pensati, fanno indubbiamente piacere”.
Ricorda qualche commento che l’ha
maggiormente colpita?
“Un lettore che mi ha
scritto: “il tuo romanzo parla di me”. Credo che questa, come scrittore, sia
una grande soddisfazione, arrivare a integrare tutti in ciò che si sta
raccontando anche se non li si conosce”.
La regia, invece?
“Dirigere è un filo sotto
rispetto alle mie passioni. Forse, perché ha una funzione prettamente tecnica,
e considerando che dirigo esclusivamente i lavori che ho scritto la considero
una prosecuzione del lavoro di scrittura, in questo senso mi dà meno
soddisfazione”.
Qual è il suo rapporto con la scrittura?
“Riconosco lo scrivere come
un bisogno necessario, qualcosa di cui non posso fare a meno”.
I personaggi dei suoi romanzi si
presentano a lei per ossessionarla, come avveniva per Pirandello?
“Invidio Pirandello per
questo. Nel mio processo creativo, i personaggi nascono da embrioni
irriconoscibili, anche singole parole che poi prendono vita, ma devono essere
coltivati, bisogna dar loro da mangiare perché possano prendere consistenza. Mi
chiedo a cosa saranno destinati: Romanzo? Racconto? Alla scena? Solo a questo
punto vengono ad ossessionarmi, perché li vedo vivere e combattere in varie
situazioni. Alla fine è dura lasciarli andare”.
Cosa accade quando è lei ad interpretare
un personaggio? Anche in quel caso è dura lasciarlo andare?
“Molto meno, rispetto alla
scrittura. Anche perché l’andare in scena è un po’ scrollarsi di dosso il
personaggio, farlo vivere”.
Le proprie origini lasciano un segno, in
qualche modo, sulla persona, è d’accordo?
“Sì, io sono cresciuto immerso
nella cultura partenopea. Benché Caserta sia a venti chilometri di distanza da
Napoli, qui si respira la stessa atmosfera, è una cultura che sento mia. Poi,
la mia formazione presso la Bottega Teatrale di Gassmann a Firenze mi ha reso
partecipe di un tipo di cultura diverso, quello toscano. Credo, che la
combinazione di elementi differenti contribuisca comunque a creare qualcosa di
nuovo”.
Com’è il suo rapporto con la città di
Caserta?
“La scelta stessa di essere
rimasto a vivere a Caserta dimostra il legame che ho con la città. Adoro i
piccoli centri ma anche, in termini di logistica, la posizione strategica che questa
città offre si è dimostrata vantaggiosa, se si pensa che dista pochi chilometri
da Napoli e da Roma. Inoltre, penso che sia un luogo dove far crescere i propri
figli senza troppa paura. Questo non significa che sia perfetta”.
Parlando più in dettaglio del suo lavoro,
come ha affrontato i testi dello spettacolo: “Dolore sotto chiave / Pericolosamente”?
“Dolore sotto chiave” è
stato un testo capitato in coincidenza con la scrittura del mio terzo romanzo (l’uomo che non riusciva a morire n.d.r),nel
testo il tema della morte è esplorato e, se vogliamo, purificato da Eduardo, e
si è legato quindi al particolare momento che vivevo come scrittore. In
generale, penso che la scelta del gruppo di lavoro sia determinante. Certe cose
si possono fare perché ci sono quelle determinate persone con cui si condivide
il lavoro, come Luciano Saltarelli, il regista Francesco Saponaro. Bisogna
creare delle compagnie “umane” oltre che professionali.
Qual è il suo rapporto con Eduardo?
Laudadio: Essere
immersi in questa cultura significa anche non potere non far riferimento ad un
suo nume, Eduardo è come Molière per la Francia, Shakespeare per l’Inghilterra,
se ne è pervasi nel senso buono e meno buono del termine. All’inizio della mia
carriera, rifiutavo di fare Eduardo, era un allontanamento voluto, l’
“uccidere” il padre per poter crescere, trovare una propria strada. Ora lo
sento più vicino nel suo contrasto tra tragico e comico, nel trattare la
surrealità e lo riconosco come modello.
Come cambia, se cambia, uno spettacolo
dopo una serie di repliche.
“Dolore
sotto chiave/ Pericolosamente conta circa ottanta repliche
dal San Ferdinando di Napoli al Piccolo di Milano. La replica fa parte della
natura stessa del teatro. Una singola messa in scena che sia un exploit
potrebbero farla tutti, replicare quel singolo exploit tutte le sere è invece
la sfida. Rendere eccezionale la quotidianità è un miracolo che avviene solo in
teatro ed è per questo che il teatro ha qualcosa in più rispetto alle altre
arti, anche più della musica”.
Perché consiglierebbe di andare a vedere
un suo spettacolo?
“Sono sempre stato un pessimo
venditore di me stesso. Immagino che i motivi con cui approccio il mio
mestiere, il modo non banale di trattare il comico siano una buona ragione.
Cerco di fare il mio mestiere onestamente. Inoltre, penso che con gli
spettatori, con i lettori, si possa parlare di “incontri”, si può piacere e non
piacere al di là di quanti manifesti si mettano o di quanti spot si trasmettano”.
Qual è la domanda a cui vorrebbe
rispondere ma che non le viene mai posta?
“Il mio rapporto con la
musica. Ho cominciato col suonare il flauto traverso, poi sono passato al
sassofono, ho composto canzoni. La musica è una mia passione storica a cui
vorrei tornare. È fondamentale, è un modo di essere, nutrimento dell’anima che
va al di là della razionalità. Probabilmente, scrivo, lavoro, recito attraverso
una scrittura musicale. In fondo, anche la vita stessa è permeata dal ritmo,
per esempio il battito cardiaco. La musica ha il vantaggio di arrivare dovunque
e a chiunque”.
Ha
Progetti in cantiere? Può svelarcene qualche dettaglio?
“Finire la tournée di Dolore sotto chiave e Giocatori che sono i due testi
attualmente in teatro, fino a metà aprile. Presentare il libro L’uomo che non riusciva a morire e
lavorare ad un nuovo romanzo che potrebbe uscire entro fine anno. Sul piano del
desiderio c’è anche la voglia di trarre dal romanzo in presentazione la
sceneggiatura per un film da dirigere, vedremo. L’anno prossimo partirà la
tournée del nuovo testo per la scena Birre
e Rivelazioni. Sono in uscita poi i film a cui ho partecipato: La macchinazione a marzo, su Pasolini, e
il film di De Angelis Indivisibili,
in primavera”.
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