Taccuino d'autore

di Peppe Barra

Il 15 aprile 1967 ci lasciava Antonio De Curtis in arte Totò e quest’anno celebreremo il 50° anniversario della sua morte. Totò è stato definito Principe della risata, Maschera del cinema italiano, ultimo grande Comico, clown, poeta… ma per me è stato soprattutto uno splendido “folle”. Si, nella comicità di Totò c’è tanta follia, ogni suo personaggio è surreale; è proprio per questo che più di una volta, quando mi hanno chiesto se c’è un attore al quale mi sono ispirato, io ho sempre risposto «Totò». Attenzione, non ho mai imitato la sua comicità (chi conosce il mio teatro lo sa benissimo), ma ho sempre ammirato la sua immensa follia, da cui mi sono lasciato stimolare e consigliare per creare teatro. Ricordo quando, sul finire degli anni ’90, tenni un concerto all’Ospedale psichiatrico Frullone di Napoli. Fu una delle esperienze più tenere e importanti della mia carriera: esibirmi per dei “folli” che mi accolsero in fila, schierati, cantando Je so pazzo di Pino Daniele; in quell’occasione si avvicinò uno dei “folli” ricoverati - era vestito, a giugno, con sciarpone di lana, cappello di feltro e cappotto - mi guardò e disse: «Si ricordi, maestro, che non c’è follia senza arte e non c’è arte senza follia!». Chiamalo pazzo! Ecco, questo aneddoto sottolinea il mio amore per la follia, ingrediente necessario dell’Arte, che mi lega al Principe.
Recentemente ho letto una interessante intervista concessa da Totò a Oriana Fallaci, e ho scoperto cose che non conoscevo: ad esempio, ero al corrente della sua solitaria discrezione, ma non immaginavo dipendesse da una profonda timidezza. E ho anche appreso del suo fortissimo amore per la mamma, altro elemento che ci unisce. Mia madre Concetta, da giovanissima, e prima di conoscere mio padre, aveva formato con le sue sorelle, zia Maria e zia Nella, il Trio Vittoria, con cui, dopo il successo alla radio, iniziò a esibirsi in teatro, lavorando anche con Totò in uno di quei meravigliosi spettacoli di rivista degli anni ’40. Bei tempi! Purtroppo, io non ho mai avuto modo di conoscere Totò e questo, forse, è uno dei pochissimi rimpianti della mia vita, ma l’ho amato tanto e continuerò a meravigliarmi sempre di fronte alla sua straordinaria capacità di comunicare ancora oggi, attraverso i suoi film.
È proprio vero: Totò è stata l’ultima vera, grande e irripetibile Maschera d’Italia; anzi, prima di Napoli e poi d’Italia. Tengo a sottolineare questa fondamentale caratteristica non per campanilismo ma perché nascere e appartenere a questa città non è solo un dato anagrafico o una notizia geografica. Napoli è una città particolare, che va amata e difesa: sempre! Io non l’ho mai lasciata, e non giudico chi, come Totò o Eduardo, è andato via. Ci vivo poiché ho sempre creduto che nel mio piccolo, con il mio “artigianato dell’Arte”, posso contribuire al cambiamento, a lasciare semi di speranza soprattutto nei giovani. Certo, i problemi ci sono, non è più la Napoli che ho vissuto da bambino e da giovane. Non mi piace passeggiare per la città e vedere i tanti monumenti oltraggiati e feriti dal vandalismo, i muri sporcati dai graffiti… bisognerebbe capire che quei monumenti e quei muri appartengono ad ognuno di noi, alla nostra storia, sono il simbolo del nostro sapere. Nel mio ultimo disco … E cammina cammina ho inciso una mia rielaborazione del brano No Woman, No Cry di Bob Marley. In questo pezzo grido la mia protesta contro questo orrendo fenomeno e sfrutto l’occasione in ogni concerto per denunciare questo scempio.
Ma Napoli è anche la città che mi ha dato gli stimoli per superare i momenti bui della mia vita; sembra una contraddizione: la città dai tanti problemi che aiuta a superare i problemi, eppure è così. Ed è, più di ogni altra cosa, la città che mi ha dato le più grandi soddisfazioni: dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare a La Gatta Cenerentola fino ad arrivare, senza elencarle tutte, al Master di II Livello Honoris Causa in “Letteratura, scrittura e critica Teatrale” conferitomi dalla Università Federico II, un grande riconoscimento, si, ma soprattutto una grande opportunità: stare a contatto con i giovani, parlare con loro, discutere. E quando tengo le mie lezioni all’Università ai giovani dico sempre che per attraversare il buio in cui viviamo e non lasciarci avvolgere dalla nebbia dell’ignoranza, l’unica cosa che possiamo fare è impugnare l’arma della luce, la spada della Cultura. Permettetemi, però, di parlare ancora una volta di Totò e di raccontarvi un aneddoto.

Come ho detto sopra, mia madre Concetta ha lavorato con lui durante la guerra, in uno spettacolo di rivista, e mi raccontò un episodio singolare: come sapete capitava spesso che i bombardamenti fossero annunciati da una sirena e tutti scappavano nei ricoveri. Un giorno, mentre si provava in teatro, a Roma, suonò la sirena e tutti corsero via… tranne Totò! Rimase immobile, seduto sulla cesta dei costumi di scena, piccolo e tremante, ma fiducioso come un bambino che quell’oggetto “magico” fosse l’essenza del Teatro, uno scudo protettivo ed esorcistico che l’avrebbe protetto anche dalla guerra. E quando mamma gli chiese perché non fuggisse come gli altri, egli rispose: «Sto benissimo qua. Dal teatro non mi schiodano neanche i bombardamenti». Ebbe ragione. Quel teatro fu risparmiato dalle bombe. 

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