Adattamento e regia di Antonio Latella
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Di Daniela Morante
Al Teatro Bellini di
Napoli dal 18 al 22 novembre, Ti regalo
la mia morte, Veronika di Rainer Werner Fassbinder, da un adattamento di Federico
Bellini e Antonio Latella che ne ha curato anche la regia.
Veronika – Monica
Piseddu - è al centro della scena, sola su tacchi alti, indossa una sottana che
le fascia il corpo magro, così magro come un guscio svuotato da una bellezza
trascorsa, consumata dalla sua stessa vita. Traballa e ogni tanto incede.
Ripete a memoria un copione già più volte sentito. Si siede, apre le gambe
offrendo agli occhi la sua profondità senza ammiccamento, forse per tic, per
nervi, o per ultimo baluardo di seduzione.
Un gruppo di scimmie
bianche le fanno compagnia e la aiutano a recitare il testo, scandendo le frasi
anche loro da copione, con pause obbligate, marcando i punti finali.
Ognuna di esse, man
mano che si dipana l’azione scenica, rappresenta un personaggio significativo
della sua esistenza, per lo più donne con un fare persecutorio a memoria di
relazioni da lei vissute con ognuna di esse, ed è qui che ci arriva il nesso
con la scimmia intesa come paranoia da morfina.
Le scimmie, come
polvere bianca, man mano si svestono del pelo folto per proporsi come donne in
lingerie. Corpose mostrano con finta disinvoltura le forme giocando
vezzosamente col lungo pelo bianco a mo’ di pelliccia. Contrarie a Veronika, sono
tutte figure legate, ciascuna, a passaggi di vita significativi finiti male. Dure,
dispettose, implacabili, in netto contrasto con quelle curve mostrate, sinonimo
talvolta nella donna di accoglienza. Il collo doppio di una o l’accento tedesco
di un’altra, il piglio sgarbato, tutte parlano di una negazione del femminile.
I dialoghi sono
distorti dalla voce metallica dei microfoni, frammentati da un testo, non
recitato, ma narrato, che vuole essere forse marcatamente nudo e crudo,
impersonale. A tratti non si comprende e ciò crea un disagio maggiore in chi
ascolta e vede.
Si comprende invece una
vita da diva: un ricovero in ospedale psichiatrico, l’abuso di droghe,
l’abbandono da un uomo, lo strapotere del cinema che come attrice la decreta
morta. E il corpo sembra ancor di più consumarsi allo sguardo.
Sul retro, ma in
vicinanza all’azione tutta svolta in proscenio, uomini intesi come servi di
scena compongono con minuziosa pazienza tasselli di due puzzle. Immagini che
dalla giusta angolazione e distanza e da una luce puntata appaiono su uno
schermo come ombre cinesi.
Il ritmo dell’azione
per tutta la durata è sembrato lineare, tendenzialmente sincopatico, ma senza
né picchi di tensione, né cedimenti, né pause, al punto di arrivare al finale
senza sorpresa o possibile svelamento alcuno.
Con Monica Piseddu,
Valentina Acca, Massimo Arbarello, Fabio Bellitti, Caterina Carpio, Sebastiano
Di Bella, Nicole Kehrberger, Candida Nieri, Fabio Pasquini, Annibale Pavone, Maurizio
Rippa.
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