De Fusco: “Torniamo ai classici, sono le nostre radici"

Con Eschilo il regista direttore affronta la sfida culturale dello Stabile divenuto Teatro Nazionale 
di Anita Curci 
Dobbiamo renderci conto che non solo la Sicilia ma anche la Campania era Magna Grecia. A Siracusa, per esempio, la tragedia fa parte della cultura del luogo. Da noi no, eppure abbiamo natura tragica, suggestivi anfiteatri e attori portati per quel tipo di esperienza. Bisogna frequentare di più i classici, che sono le nostre radici, l’origine del teatro stesso”. Ne è convinto il regista Luca De Fusco, direttore dello Stabile Teatro Nazionale (Mercadante e San Ferdinando). Perciò, nel programma triennale ha previsto, dal 24 novembre al 20 dicembre Orestea, la trilogia di Eschilo, firmandone la regia; quindi, Medea diretta da Lavia e altre, tra cui, Le Troiane secondo Valery Fokin, direttore del Teatro Alexandrinsky di San Pietroburgo.
De Fusco, perché proprio Orestea?
 “Ci serviva un grande spettacolo che accumulasse molte giornate lavorative, cui siamo obbligati come Teatro Nazionale. E poi è una tragedia rappresentata rare volte. Ho diretto l’Agamennone nel 2014 in occasione del Centenario dell’Inda Siracusa Spettacolo, mentre Coefore e Eumenidi erano affidate ad altri registi. Lì mi sono accorto che Orestea va affrontata come opera unitaria”.
Per questo allestimento ha raccolto attori che già hanno lavorato al Mercadante. Faranno parte della Compagnia Stabile del Teatro Nazionale? 
“Sto utilizzando il metodo di Ivo Chiesa e quello della Scarpettiana. La Compagnia, mentre recita Orestea, prova altri spettacoli in cartellone. Innanzitutto Re Lear con Mariano Rigillo e Cicci Rossini; prova Giorni Felici con la regia di Lluis Pasqual; Casa di bambola e il Pigmalione di Shaw tradotto da Santanelli, con le regie di Claudio Di Palma e Benedetto Sicca. Questo anche per un fatto di funzionale economia. Alcuni attori fanno parte del mio gruppo storico: Gaia Aprea, Paolo Serra, Giacinto Palmarini, Enzo Torrini… a cui si aggiungono la Pozzi, Rigillo, la Pagano...”.
Conta di avere due Compagnie, anche una per il San Ferdinando? 
“Credo che ci saranno due organici fissi che si alterneranno e che sto ancora definendo. Conto nelle collaborazioni di Lello Arena che ha già lavorato con noi, di Di Palma, di Ruggero Cappuccio che ritornerà con Shakespea Re”.
 Torniamo a Orestea: come ha impostato la regia? In che modo passa dall’epoca barbarica di Agamennone a quella più civile di Eumenidi?
“L’intuizione è quella di uno scavo archeologico;
in Agamennone i personaggi emergono dalla terra nera; e dalla preistoria arrivo alla fantascienza. In Coefore c’è un passaggio dal teatro al cinema degli anni ’40 che in Eumenidi si trasforma in una trasmissione tv all’avanguardia. Parto dall’idea che la sanguinarietà di Agamennone sia molto attuale. E siccome tutti i tentativi che Atena fa per risolvere i dissidi con la ragione sono qualcosa che l’umanità oggi non ha ancora realizzato, io li colloco nel futuro. Atena è un personaggio avveniristico. Sulla scena vedrete prima sabbia lavica, elemento arcaico; poi un grande schermo video, segno di modernità. L’ambientazione del processo, che in Eumenidi segna l’istituzione dei tribunali come mezzo per risolvere senza guerre i conflitti umani, è una specie di orwelliano studio televisivo, in bianco e nero, molto sinistro”.
Le musiche?
 “Il coro nella tragedia ha una forte componente musicale e coreografica, che ho affidato ancora a Noa Wertheim e Ran Bagno, della Vertigo Dance Company, che si avvarranno di sei ballerini della compagnia napoletana Körper, per uno spettacolo antico e, nello stesso tempo, contemporaneo e multidisciplinare”.
Orestea è un allestimento talmente imponente da poter essere prodotto solo da un Teatro Nazionale. Quali le sfide il futuro?
“Tutto è nuovo in questa riforma della prosa, che ha cose positive ma anche altre da rivedere. Per esempio, non si capisce perché una cosa ritenuta buona come le coproduzioni debba avere un limite. Sicuramente l’idea dei Teatri Nazionali come produttori di spettacoli che devono essere rappresentati soprattutto in sede è giusta; anche se questo ci costringe a grandi teniture cui non siamo abituati. Con Orestea ci risulta facile riempire il teatro per un mese perché è poco rappresentata. Il cast è eccellente: Mariano Rigillo è Agamennone, Elisabetta Pozzi, Clitemnestra; Angela Pagano, Prima Corifea e capo delle Erinni; Gaia Aprea, Cassandra e Atena; Claudio Di Palma, Araldo e Apollo; Paolo Serra, Egisto…”.
Come si impegnerà per fare arrivare il teatro meglio alla città?
“Con promozione, incontri, parlando con la gente, creando un collegamento con le Università. Insomma, questa è la vera sfida”.
 Per il San Ferdinando, la strada scelta è quella di restare nel solco della tradizione ma rinnovandola.
“Sì. Abbiamo inaugurato con un testo di Cappuccio, seguirà quello della Parrella, poi Filumena Marturano. L’anno prossimo sarà la volta di Natale in casa Cupiello rivisitato da Latella, Miseria e nobiltà diretto da Cirillo. Spero anche nella presenza di Luca De Filippo. Abbiamo un’abbondanza di talenti, penso pure allo stile di Mimmo Borrelli. La nostra specialità deve essere il teatro napoletano rivisto con sguardo contemporaneo”.


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