Novelle sublimi e storiacce, con Boccaccio raccontiamo la vita per scacciare la morte

di Francesco Gaudiosi 
Secondo capitolo della trilogia I Grandi Italiani, Decamerone, vizi, virtù, passioni nasce da un’idea di Marco Baliani, Stefano Accorsi e Marco Balsamo. Dopo oltre due anni di rappresentazioni con Giocando con Orlando, versione riadattata e apprezzata del capolavoro letterario dell’Ariosto, ora tocca al Decamerone di Boccaccio, testo senza dubbio “ancora più complesso dell’Orlando Furioso, sia a livello lessicale che di trasposizione drammaturgica”, come dice lo stesso Baliani, anche regista dello spettacolo, che aggiunge: “Anche con questa opera siamo riusciti nell’intento di richiamare la grandezza di una lingua antica, stavolta del Trecento. Boccaccio riesce a spiegarsi con una capacità narrativa e poetica che si struttura su piani differenti tra loro. L’operazione più difficile è stata la scelta delle storie. Alla fine abbiamo pescato in maniera sparsa dalle “storiacce da osteria” erotico-sessuali presenti nella sua opera e dalle novelle più sublimi”. Decamerone rispetto all’Orlando è meno astratto, ma più materiale e concreto, essendo al limite della filodrammatica, come se gli attori stessero sempre in bilico, in equilibrio con un tipo di recitazione sopra le righe e una recitazione di prosa, tra l’essere fuori dai margini convenzionali e qualcosa che si avvicina al classico, ma che in realtà non lo è. Tutto in sette narrazioni adattate da Maria Maglietta, con l’idea di non farne un unico tracciato linguistico ma di trovare un contenitore - in questo caso
una compagnia di girovaghi - che mette in scena sette registri scenici diversi. “Volevo portare in scena qualcosa che parlasse dell’essere umano in un contesto irreale e ironico. Da qui la trilogia con Orlando, Decamerone e alcuni scritti di Machiavelli”, spiega Stefano Accorsi sul palco insieme Silvia Ajelli, Salvatore Arena, Silvia Briozzo, Fonte Fantasia e Mariano Nieddu. Decamerone, vizi, virtù e passioni, coprodotto da Nuovo Teatro e da Fondazione Teatro della Toscana, è un mezzo per arrivare con testi impegnativi a qualsiasi tipo di pubblico. “La forza del teatro è anche questa, - chiarisce l’attore bolognese - la nostra intenzione infatti si associa alla volontà di rappresentare opere difficili ma di forte tradizione popolare. Il rischio poteva essere che la lingua spaventasse, trattandosi di uno spettacolo interamente in versi. Ma Ariosto le opere le leggeva in pubblico, e quando un’opera viene letta, così come abbiamo fatto anche noi, persino un linguaggio complicato risulta comprensibile”. Lo spettacolo è uno sguardo divertito sui difetti umani in una Firenze invasa dalla peste. E allora i ragazzi si portano fuori la città per continuare ad esistere e a raccontare storie. L’atto del raccontare diventa l’essenza stessa del teatro che aiuta a sopravvivere e a sfidare la morte. Ecco la leggerezza del tocco boccaccesco: chi reagisce alla morte, va verso la vita. In scena al Teatro Comunale di Caserta dal 4 al 6 dicembre, al Comunale di Nocera Inferiore il 5 febbraio, al Gesualdo di Avellino il 6 e 7 febbraio, al Diana di Napoli dal 10 al 21 febbraio.
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