Un tuffo nei caffè dell'Ottocento per riscoprire le regine della mossa- Serena Autieri, una prova d'artista in musica e parole

Di Stefano Prestisimone
Dopo le “Vacanze romane” in vespa con Paolo Conticini, riecco La sciantosa di Serena Autieri che torna in tournèe in Campania dopo il debutto al Diana di 12 mesi fa. Costume rosso, cilindro in testa e un sottotitolo emblematico, “Ho scelto un nome eccentrico”, per raccontare le gesta di una delle attrici di cafè chantant più talentuose ma meno conosciute al grande pubblico, Elvira Donnarumma.
Un “one woman show” con la regia di Gino Landi e scritto da Vincenzo Incenzo. Da Lily Kangy a Io te vurria vasà, un percorso non solo musicale, tra racconti e siparietti e un’orchestrina in scena come accadeva negli anni ’30, ovvero il Quintetto Popolare Napoletano. La direzione musicale è di Massimo Idà e sul palco c’è il ballerino Alessandro Urso. Il tutto con la produzione di Engage. Prossimi appuntamenti a marzo, al Massimo di Benevento l’1, al Teatro Delle Arti di Salerno il 5 e il 6, al Comunale di Caserta l’11 e il 13.
Serena Autieri, cosa rappresenta per lei “La sciantosa”?
“E’ una storia che non finirà mai, in fondo siamo tutte un po’ sciantose. E poi è un personaggio speciale, con dentro mille sfumature, si passa dalla dolcezza all’ironia, dall’allegria più sfrenata alla tristezza. C’è la Napoli sboccata e quella nostalgica e drammatica, e tra una canzone e un racconto voglio provare a ricreare l’atmosfera ottocentesca e a far sentire profumi arabi, saraceni e americani. Il tutto riletto in chiave contemporanea, con un quintetto di musicisti in scena in stile orchestrina dell’epoca e una serie di cambi d’abito. Arrivando naturalmente fino alla mossa, l’asso nella manica delle sciantose”.
Il fulcro saranno naturalmente le canzoni.
“Quindici titoli dello straordinario repertorio partenopeo, da Guapparìa a Santa Lucia, da ‘A tazza ‘e cafè a Comme facette mammeta fino a classici passionali immortali come I’ te vurria vasà e Reginella, passando per perle nascoste come Suonne sunnate, Io ’na chitarra e ’a luna, Canzone a Chiarastella, oggi ascoltabili solo con il grammofono a tromba. Entro nei luoghi e nei codici del caffè concerto e del varietà, spartiacque tra la musica di Napoli che fu e quella che verrà. Ma c’è molto altro nello spettacolo. Fra un brano e l'altro passerò dal personaggio di narratrice a quello di Elvira Donnarumma, dunque racconterò Elvira e sarò Elvira”.
Ce la descrive?
“Era soprannominata ‘a capinera napulitana ed era la sciantosa più atipica di tutte. E forse la più dimenticata, perché più artista che bellona; più interprete musicale che mangiatrice d'uomini. Era esile, piccolina, nient'affatto sensuale. Ma artisticamente geniale. E tra le sue fan c’erano Eleonora Duse e Matilde Serao. Il lavoro racconta la sua storia, fino agli anni ’30, quando si ammalò e per un periodo continuò lo stesso ad andare in scena, stoicamente. C’è il dramma della guerra, gli affetti che si perdono. E la musica scandisce tutto il percorso”.
Si vedrà una Autieri “spudorata”?
“Ho voluto fortemente mantenere il clima provocatorio e sensuale di quei cafè, ricreare in teatro quel rapporto diretto con il pubblico, improvvisando, dialogando fino al battibecco simpatico, per poi coinvolgerlo spudoratamente nella “mossa”. Ma con garbo e nel mio stile di sempre”.
Intanto si muove con duttilità tra teatro, cinema, tv e musica. Oltre al doppiaggio.
“E’ un dono che mi ha dato questa città, dove c’è estro, creatività artistica, senso dello spettacolo. Io ho solo raccolto l’eredità”.

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