“Desaparecidos#43” di Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola


Andato in scena dal 10 al 13 marzo al Teatro Elicantropo di Napoli

Di Maddalena Porcelli

Dal fondo oscuro del palco due donne, silenziose, procedono a lenti passi mentre un ragazzo fa ingresso dalla sala, attraversa la platea e va incontro alle altre. Un po’ alla volta la luce di un proiettore ce li renderà visibili. Portano in mano vesti insanguinate, che deporranno al centro del palcoscenico, sistemandole con cura, quasi dovessero essere pronte per essere indossate: sono i jeans e le t-shirt appartenenti ai quarantatré studenti sequestrati e spariti in Messico il 26 settembre del 2014. Gli attori Nicola Pianzola e Marta Tabacco si aprono alla danza in questo spettacolo che si titola “Desaparecidos#43”: i loro corpi armoniosi, senza mai toccarsi, s’incontrano sfiorandosi, torcendosi, avviluppandosi, trapassando l’uno nell’altro con eleganti circonvoluzioni; significanti simbolici che nel descriverci  la sacralità della vita e delle relazioni giovanili, fondate sull’inviolabilità dello spazio individuale e del contatto amorevole che solo il rispetto può generare, ci riportano, per contrasto, alla realtà di quegli indumenti macchiati di sangue, al vuoto dei corpi assenti e infine all’ascolto di una voce che  sussurra  parole di dolore, appena percepibili, quasi  fosse una voce interiore, che ognuno può ascoltare, contemporaneamente  dentro e fuori di sé. Quei corpi scomparsi ci chiedono giustizia e rivendicano il diritto alla presenza. Erano giovani di vent’anni, tutti provenienti dalla Escuela Normal Rural di Ayotzinapa, una scuola di livello universitario, che ha lo stile delle comunità rurali e povere del Messico e non quello delle città. Lì non esiste divisione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale: si studia, si lavora e si fa politica; si coltivano fiori, prodotti agricoli e si pratica l’allevamento, per l’autoconsumo e la vendita. E’ una scuola gratuita, anche per quanto riguarda i libri di testo, ma i governi susseguitisi negli ultimi anni non sono più disposti a sostenerla e hanno cercato di chiuderla con la forza militare o interrompendone i finanziamenti. La considerano come scuola di rivoltosi che non accettano la modernità del neoliberismo. Ecco, dunque, qual è il punto: lo scopo è la privatizzazione delle scuole, affinché esse, come le altre sparse nei vari stati del Messico, non pesino più sul bilancio statale che ha tutt’altre priorità, ossia il finanziamento di aziende nazionali e sovranazionali da cui trarre guadagno. Se i giovani rivendicano il diritto a un’istruzione gratuita, alla libertà di pensiero e alla giustizia sociale, ecco che il sistema neoliberista, con il suo capitalismo criminale interverrà per schiacciarli. Non fa sconti a nessuno: innanzitutto il profitto!  E laddove l’interesse economico detterà l’ordine del giorno all’agenda politica avrà fine lo spazio umano e inizierà quello della repressione, del mascheramento, della simulazione, dell’inganno, della violenza. Ma se universali sono le ingiustizie, i crimini, i soprusi, il disprezzo e lo sfruttamento di milioni di anime, altrettanto universali sono il richiamo alla vita, alla ribellione, alla dignità che non si rassegna alla rinuncia del suo riscatto. Esisteranno sempre geografie ribelli, dove per ogni vita abbattuta ce ne saranno cento pronte a fiorire, più arrabbiate. E’ per questo che in Messico nasce il comitato clandestino rivoluzionario indigeno, l’EZLN, e in Royava, il comitato di liberazione curda. E’ per questo che in Honduras la morte di Berta Caceres, che difendeva la sua foresta dall’invasione delle multinazionali di energia idroelettrica che minacciano le riserve d’acqua indigene, lascia in eredità un coraggio e una forza ancora più grandi. Intanto resta, per quei quarantatré giovani, il raccapriccio delle madri, piegate dal dolore, che aspettano, nutrite di strazio e di speranze, la restituzione delle loro anime. Attraverso la voce di Anna Dora Dorno, regista della rappresentazione, restiamo sconvolti da come ella ci parla della sofferenza che solo chi prova può conoscere a fondo, che nasce e si sviluppa nella profondità delle viscere prima di risalire, attraverso il corpo e farsi lamento esteriore. E restano quei corpi a scriverne la storia nella sala del teatro Elicantropo dal 10 al 13 marzo, una storia che non si fermerà qui, ma che attraverserà l’Europa per chiedere di non dimenticare, “no se olvide”. Una drammaturgia bilingue, che intreccia e alterna l’italiano e lo spagnolo, portata sulla scena del mondo dalla compagnia degli Instabili Vaganti, un gruppo fondato a Bologna nel 2004 da Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola, promotori di Megalopolis, un progetto sviluppato a Città del Messico nel 2012, che, attraverso la danza, le arti visive e la recitazione, coinvolse artisti e studenti, allo scopo di informare, sconvolgere e creare attivismo politico. Quei corpi, dicevamo, ci racconteranno, attraverso la proiezione d’immagini direttamente iscritte sulle braccia, le gambe, il dorso, la schiena degli attori, la storia degli studenti scomparsi. Su quei corpi, profanati dal terrore, appariranno, attraverso l’utilizzo di hashtag, fotografie, graffiti, le immagini dei teschi, dei morti, dei feriti, dei quarantatré desaparecidos, scolpiti come stigma indelebile sulla pelle di chi sopravvive col fiato sospeso, in preda al tremore compulso, con la consapevolezza di poter essere il quarantaquattresimo, ma che nonostante tutto questo continua a lottare. “Volevano seppellirci, non sapevano ch’eravamo semi”. Questa è la risposta finale dei sopravvissuti, che per loro tramite gli attori ripetono, spargendo in terra boccioli di fiori e donandone a ogni spettatore. Il bisogno di giustizia e di verità griderà ancora più forte di prima, con più rabbia e più lucida coscienza. “Umile sì, ma non umiliato” ripete ossessivamente l’attrice che cade e si rialza una, dieci, cento, mille volte e per sempre.
 
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