di Cesare Catà – Edizioni Aguaplano –
Officina del libro, 2015.
pp. 237 - € 18,00
di Antonio
Tedesco
Parlare di Shakespeare
significa, ovviamente, parlare del teatro nella massima pienezza della sua
espressione. Significa, in definitiva, parlare del mondo e degli uomini che lo
abitano. Delle loro pulsioni, delle forze che li muovono, delle passioni che li
bruciano e, fatalmente, dello smarrimento che li coglie.
Cesare Catà, studioso,
professore, ricercatore universitario e, in un certo senso, performer
culturale, in Shakespeare e l’urlo di
Narciso – Viaggio nel Riccardo II, edito da Aguaplano – Officine del libro
(2015), di cui è autore, ha individuato nel multiforme universo shakespeariano,
che ancora tanto ci rappresenta, una figura che si proietta simbolicamente al
di sopra, e per certi versi, all’origine, di tutte le altre: Riccardo II. Al
quale, intorno al 1595, l’autore elisabettiano ha dedicato uno dei suoi più
intensi drammi storici. Si tratta, come è noto, di una figura chiave della
storia inglese, ma che assume un valore ulteriore in quanto definisce
simbolicamente il passaggio tra due epoche, ovvero il Medioevo e l’Età Moderna.
E quindi il superamento del “diritto divino” attribuito ai regnanti e l’avvento
di una monarchia dove il potere si fonda sul consenso che viene emanato dal
basso e non più su una volontà trascendente.
In un testo di coinvolgente
leggibilità, Catà, lontano dai paludamenti accademici, ma allo stesso tempo
coltissimo e con infiniti rimandi alla letteratura, al cinema, ad alcune
espressioni della serialità televisiva, contribuisce a farci comprendere non
solo quanto Shakespeare parli all’uomo di oggi come a quello del suo tempo, ma
come, in definitiva, parli “all’Uomo”, nella sua accezione assoluta e
universale. Facendo del teatro stesso, inteso nella sua espressione più
elevata, quello Specchio di Narciso nel quale l’autore di questo
“viaggio-studio”, individua la letale autoreferenzialità senza sbocchi
possibili che decretò, attraverso la figura simbolica di Riccardo, e l'avvento
della nuova monarchia con Enrico IV, la fine di tutta un’era. Un teatro il
quale, come la pozza d’acqua del personaggio del mito, ci rimanda un’immagine
che, per dirla con Freud e la sua definizione di Perturbante, percepiamo come
nota, ma che abbiamo inconsciamente rimosso. Un riflesso familiare e ignoto
allo stesso tempo, che ci risucchia dentro l’abisso vorticoso della nostra
inafferrabile anima.
Il volume, oltre alla ricchezza
e alla varietà dei contenuti si segnala anche per la confezione editoriale che
ne fa, in tutti i sensi, un prodotto di qualità di fattura squisitamente artigianale (non a caso “Officina del libro”)
come ormai solo i piccoli editori appassionati e indipendenti possono realizzare.
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