“Nella mia zingara l’anarchia vitale di Napoli”. Al Bellini Moscato e la riscrittura, “artistica e culturale”, dell’opera di Merimée-Bizet
di Giuseppe
Iannicelli
Si
rinnova la collaborazione artistica tra Mario Martone e Enzo Moscato nel nome
di Carmen o meglio di Carmèn, alla
napoletana, come nel testo originario che Moscato ha consegnato al regista
dello spettacolo in cartellone al Teatro Bellini di Napoli dal 12 al 24 aprile,
con Iaia Forte e Roberto De Francesco. “La mia zingara Carmèn – conferma
Moscato – è una creatura napoletana perché è animata da uno spirito anarchico
che appartiene al patrimonio genetico, all’identità e alla rappresentazione
stessa di Napoli. L’anarchia è una forza vitale per la protagonista come per la
città”.
Quale fil rouge ha delineato
la collaborazione con Martone?
“Il
rapporto artistico con lui, iniziato negli anni Novanta con Rasoi, è sempre molto stimolante. La
chiave di lettura che ho tentato d’esplorare con un risultato molto apprezzato
sia dallo stesso Martone sia dal pubblico è quella di una drammaturgia che
attingesse a piene mani dall’invenzione, ma anche dal linguaggio e dalle
sonorità della lingua napoletana. È stata compiuta un’operazione di scrittura,
artistica e culturale, che ci permette di godere di un grande classico senza
sfigurarlo ma cambiando il giusto. Procedono di pari passo le parole di Mérimée e dei librettisti
Meilhac e Halévy da me rese… come dire… alchemiche. La musica di Bizet
trasfigurata da Mario Tronco con Leandro Piccioni e l’Orchestra di Piazza Vittorio è diventata un originale melting pop. Non
mi piace che s’intervenga sul testo senza né togliere, né mettere”.
Bizet non ha mai visitato la
Spagna in vita sua. Eppure ha scritto la più spagnola delle opere di ogni tempo
per l’immaginario collettivo. La Carmen
è ambientata a Siviglia nell’Ottocento. La sua storia ha un tempo e un luogo?
“L’epoca
non è esplicita ma si può riconoscere. Affiorano nello
spettacolo la Napoli del dopoguerra e quella criminale dei giorni nostri ma,
soprattutto, Napoli si riconosce nella lingua e nelle sonorità di una
rappresentazione che fonde insieme generi, stili, etnie purificati dalla musica
tra zarzuela e bassi napoletani. È un musical, un’opera contemporanea ma con
l’atemporalità tipica dei classici e richiami al passato”.
Carmen è uno dei miti più
ripresi dal cinema, dal teatro, dalla televisione. Cosa ha di speciale quella
di Enzo Moscato e Mario Martone?
“La
nostra, a differenza di quella di Bizet uccisa a coltellate da don Josè, non
muore. Racconta il proprio dramma e quasi spiega le proprie ragioni. E dunque
viene ancora di più esplicitato il suo punto di vista sulla tragica vicenda: un
vortice di euforia e lacrime, eroismo e tradimento, passione e tradimento, libertà
e amore, mistero. Ho scritto guardando al testo e guardando a Napoli, ma anche
al cinema di Rosi e Godard. E’ una storia
napoletana della quale sono protagonisti personaggi marginali, soggetti molto border
line. La terribile scommessa è stata quella di riportare questo universo a me,
a noi e allo spettatore. Una coraggiosa operazione teatrale che inserisce
Napoli nella classicità, ribadendo la necessità di una trasformazione”.
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