Laura Angiulli, John Ford e lo splendore della lingua

di Antonio Tedesco
Il percorso teatrale di Laura Angiulli si è mosso negli ultimi anni su due direttrici principali, gli autori della tradizione classica napoletana, (Scarpetta e Petito, soprattutto) e Shakespeare (con qualche appendice elisabettiana). Due itinerari in apparenza contraddittori, ma che trovano, invece, nella lettura della regista napoletana sorprendenti punti di contatto. Nel linguaggio, soprattutto. O meglio, “Nel discorso sulla lingua”, come la stessa Angiulli ebbe a dichiararci a proposito di una di queste messe in scena, qualche tempo fa. “C'è in Shakespeare, come per altri versi, negli autori napoletani, quello che definisco uno splendore della lingua. Una ricchezza, una sontuosità del ‘dire’. E dove il ‘detto’ e il ‘pensato’ si uniscono in un giro di voce. Una lingua che per arrivare a noi in tutta la sua ricchezza e armoniosità, deve essere, per l'appunto, storicizzata, avere in tutti i sensi, cioè, la piena dignità di lingua teatrale”.
Lingue teatrali, dunque, come creatrici di piccoli universi senza tempo. Che ritroviamo nei due allestimenti della Angiulli, che verranno riproposti nei mesi di ottobre e novembre a Galleria Toledo, teatro di cui da oltre vent’anni è direttrice artistica, e cioè Peccato che fosse puttana, dell’elisabettiano John Ford, presentato all’ultimo Napoli Teatro Festival, che rimarrà in scena dal 6 al 23 ottobre, e Misura per misura, dal 22 novembre al 4 dicembre, ultima tappa, per ora, del già citato percorso shakespeariano che la Angiulli sta compiendo da alcuni anni. Testi che, sfrondati al massimo di riferimenti contestuali (sono le luci principalmente, e non le scenografie a creare ambienti e atmosfere), lasciano emergere tutte le ambiguità, sottigliezze, contraddizioni della natura umana. Costanti immutabili. Allora come oggi.

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