Moni Ovadia, uno spettacolo
farsesco, ma che nasconde un messaggio più grande.
“Questo spettacolo, attraverso la
forma semplice del cabaret porta lo spettatore nell’epopea
straordinaria di “una gente” che ha popolato l’Europa in una
condizione di esilio, mostrando al mondo che un popolo può essere
tale anche senza uno Stato, anche senza confini.
Il popolo dell’esilio vive sospeso
tra cielo e terra, in una dimensione vertiginosa di spiritualità che
fa dell’umorismo uno strumento per affrontare la vita e per
sconfiggere le tenebre della violenza”.
L’umorismo è quindi una via per
esorcizzare il passato e il male?
“L’umorismo che caratterizza il
cammino di questa cultura dell’esilio è una forma di visione del
mondo che affronta il dramma, illuminando, col paradosso, una terza
via.
Se noi siamo l’umanità della
contrapposizione violenta “o tu o io”, out out, l’umorismo
mostra che esiste anche la cultura del “et et”, cioè del te ed
io, palesando così la stupidità dell’esclusione, la stupidità di
chi pretende di essere di più di qualcun altro e rivelando che non
c’è di meglio, c’è solo l’altro”.
L’Yiddish è una lingua aperta,
così come aperta è la dimensione dell’esilio.
“La condizione dell’esilio illumina
l’essere umano nella sua nudità, nella sua fragilità e quindi
anche nella sua grandezza, perché l’uomo sottratto e liberato da
presunte “parentele”, può elevarsi e guardare al mondo e
all’altro uomo con una libertà e una benevolenza che colui che si
ritiene appartenente ad un’identità rigida, e quindi che la
frappone ad un’altra identità, non può avere. La nazionalità è
ventura, non può condizionare la vita dell’uomo.
Condividiamo uno statuto universale
estremamente più grande ed è quello di essere umano.
Siamo stranieri fra stranieri, ci
riconosciamo in quanto tali ed in quanto tali accettiamo la nostra
fragilità esistenziale, facendone un pilastro per l’edificazione
di un mondo di accoglienza e non di separazione e discriminazione.
La condizione del forestiero è una
dimensione grandiosa che permette di guardare l’uomo attraverso non
il suo passaporto, ma la sua anima”.
fed. de ces.
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