"A HUNGER ARTIST - UN DIGIUNATORE" - di Franz Kafka - regia di Eimuntas Nekrosius

Al Teatro Bellini di Napoli dal 19 al 21 aprile

di Antonio Tedesco


Napoli – La gabbia nella quale Un digiunatore, protagonista dell’omonimo racconto di Kafka, è rinchiuso, si trasforma qui in un interno borghese. Un ordinario salotto dipinto con tratti quasi naif sul fondalino della scena. Davanti al fondalino pochi oggetti: delle sedie, un pianoforte, una struttura metallica a forma di parallelepipedo con un leggio incorporato. Il “digiunatore” è in realtà una donna. Entra in scena e, come se fosse appena tornata a casa, dopo essersi messa a proprio agio, scrive su alcune lavagne ai lati del boccascena, il menu, che consiste nella parola “digiuno”.
Dopo di che, come a contraddire questo proposito, inizia a ripetere più volte, quasi a voler richiamare l’attenzione di qualcuno, “la cena è servita”. A questo punto entrano tre strani personaggi che con delle sagome di cartone ritagliate a forma di stomaco umano, iniziano a dissertare sulle funzioni dell’apparato digerente.
Una sorta di lunga premessa che serve, però, a definire gli ambiti nei quali si muoverà la messa in scena. E a stabilire che genere di rapporto il regista intende instaurare con il testo del grande scrittore praghese.
E’ a questo punto, infatti, che Viktorija Kuodytè, la splendida interprete di questo A Hunger Artist – Un digiunatore che per la regia di Eimuntas Nekrosius sarà al Teatro Bellini fino al 21 aprile, inizia a recitare testualmente le parole del racconto di Kafka. Testo che nel corso dello spettacolo verrà recitato integralmente, intervallato da azioni sceniche e brevi scambi di battute inserite ex novo nell’allestimento. Quasi mai, però, le azioni effettuate sulla scena risultano essere meramente illustrative del testo. Anche se è possibile cogliere in alcuni casi richiami o riferimenti più o meno vaghi. Ma attraverso questa apparente scissione Nekrosius mette in atto, in realtà, una proiezione, un ampliamento di senso, un allargamento dei significati operato proprio a partire dal racconto di Kafka. Una variazione sul tema che è anche un’interpretazione personale dove, seppure in maniera apparentemente distorta, testo e azione scenica si riflettono l'uno nell'altra. Arricchendo il primo e svelandone in maniera ancor più evidente la sua portata universale. Infatti, se secondo molte interpretazioni quella del Digiunatore può essere una metafora dell’artista incompreso e insoddisfatto, nella messa in scena di Nekrosius assume un respiro ancor più ampio, andando a scoprire il vero digiuno là dove sembra (ci illudiamo) regni l’abbondanza.
Ma come spesso succede per ogni opera di valore, le interpretazioni potrebbero essere molteplici, e tutte ugualmente valide. E, in questo caso in particolare, un’analisi troppo approfondita rischierebbe di sminuire quel piacere quasi fisico, sensoriale, offerto da un allestimento che nella sua essenzialità di mezzi pone in essere la magia del teatro in tutta la sua pienezza, creando un perfetto connubio tra corpi, voci e suoni, facendo interagire l’arte teatrale con momenti di cabaret e sprazzi di virtuosismo circense, affermando, in definitiva, l’arte scenica come arte totale e la metafora del digiuno come fame spirituale. “L’artista della fame”, suona, infatti, letteralmente, il titolo originale. E quale altra fame può avere l’artista se non quella di soddisfare il suo inesauribile bisogno di conoscenza interiore?
Con la già citata, bravissima Viktorija Kuodytè, puro corpo teatrale, sono in scena gli altrettanto bravi ed efficaci Vygandas Vadeisa, Vaidas Vilius, Genadij Virkovskij, dai quali a fatica si staccano gli occhi per seguire sul display, in alto, la traduzione italiana del testo recitato in lituano.

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