“La mia Jennifer nello specchio del suo lato femminile”

Ernesto Lama si confronta con Ruccello. Il tema della solitudine e dell’isolamento. La regia di Miale

di Gianmarco Cesario

È un fiume in piena, straripante di idee e di parole, l’attore Ernesto Lama, che, reduce dal successo della tournée dello spettacolo Teatro del Porto con Massimo Ranieri, dal 20 al 23 aprile è all’Elicantropo con Elisabetta D’Acunzo in Le cinque rose di Jennifer di Annibale Ruccello, per la regia di Peppe Miale.
“È la prima volta che affronto un testo di Ruccello, e lo faccio come solitamente mi regolo con tutti gli autori napoletani: trattandolo come se fosse un autore straniero, come se non mi appartenesse, operando quindi uno studio approfondito. Mi succede, ad esempio, con il repertorio di Viviani: non uso nei suoi confronti quella familiarità che rischierebbe di farmi lavorare superficialmente. Al contrario, proprio perché più vicino al mio mondo, è importante che mi ci accosti in punta di piedi. Solo quando mi sento completamente calato dentro, comincio poi a divertirmi”.
La trama di Le cinque rose di Jennifer è nota: un travestito napoletano vive la sua ultima notte di incubo, in un’atmosfera da thriller, non senza un’ironia che, però, in alcuni casi di rappresentazioni passate, è stata anche causa di scivoloni nel macchiettismo di maniera.
“Da eterosessuale credo che io possa interpretare il personaggio forse con maggiore obiettività – continua Lama – senza cadere in un’ironia che in qualche modo una maggiore familiarità con quel contesto mi indurrebbe ad utilizzare. Un eccesso che porterebbe l’attore a compiere un duplice danno: uno di natura artistica nei confronti del personaggio, e un altro invece umano verso un mondo che va rispettato.
Tra i testi del drammaturgo stabiese, ho scelto la storia di Jennifer perché, innanzitutto, centra il tema dell’emarginazione e la solitudine. Con questo dramma, anche attraverso l’ironia, l’autore racconta quello che accade o può accadere a tutti noi: essere soli ed essere a nostra volta circondati dalla solitudine. Ed è in questa direzione che con il regista ho deciso di procedere, anche scegliendo di far interpretare ad una donna, Elisabetta D’Acunzo, il personaggio di Anna, la vicina di casa di Jennifer. Anna, secondo noi non esiste, è solo una proiezione dello specchio contorto in cui si riflette Jennifer. Chissà, forse è l’immagine femminile che vorrebbe avere. È un’altra prova della sua solitudine. Io immagino che Anna sia sempre con lei, che respiri con lei, una specie di bambola che la stessa Jennifer si è costruita per vincere l’isolamento, appunto. Così come non esistono le telefonate che arrivano continuamente. Tutto avviene nella sua mente”.
Un universo, quello di Ruccello, che in qualche modo segue, cronologicamente, quello del grande Raffaele Viviani, di cui Lama è attualmente uno dei maggiori interpreti. “Entrambi sono figli della stessa terra (Castellammare di Stabia) ed entrambi ne portano in scena i suoni e la lingua, naturalmente rapportandola ai tempi che ognuno di loro ha vissuto. I canti popolari di Viviani diventano le canzoni pop di Ruccello. E per entrambi è necessario l’uso delle musiche per raccontare le loro storie”.



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