Di Stefano Prestisimone
Dall’Orestea
al Prometeo,
dall’Antigone
a Le Baccanti,
passando per Fedra.
Il Teatro Grande di Pompei, il mitico, unico palcoscenico del II°
secolo a.C., probabilmente il più affascinante luogo al mondo
che possa ospitare uno spettacolo dal vivo, torna ad immergersi nel
teatro classico greco grazie a “Pompeii Theatrum Mundi”, rassegna
che nel titolo parafrasa “Roma caput mundi” per dar bene l’idea
della grandiosità della manifestazione, e che presenterà dal 22
giugno al 23 luglio quattro lavori diretti da Luca De Fusco, Massimo
Luconi, Carlo Cerciello e Andrea De Rosa. Un progetto quadriennale
curato dal Teatro Stabile di Napoli/Teatro Nazionale e Soprintendenza
di Pompei, immaginato proprio per il teatro del più importante sito
archeologico esistente. E che rientra nel programma di promozione
dopo la riapertura al pubblico del Teatro Grande di due anni fa, già
palco privilegiato dei concerti/evento estivi di David Gilmour, che
tornava a Pompei dopo i fasti targati Pink Floyd di oltre 40 anni fa,
e di sir Elton John.
Un
articolato prospetto di titoli e di opere per un ciclo di
drammaturgia antica con cinque grandi testi riproposti al pubblico
nell’ammaliante atmosfera degli scavi, che si inseriscono in modo
naturale nello spazio delle scene di Pompei. “È la prima rassegna
di drammaturgia antica del nostro Stabile in un luogo magico come
Pompei e che nasce con l’intento di identificarsi totalmente nello
scenario e nel contenitore prestigiosissimo. Testi di Eschilo,
Sofocle, Euripide saranno presentati nel luogo in cui, con tutta
probabilità, furono messi in scena già in epoca romana”, spiega
Luca De Fusco. “Naturalmente abbiamo puntato innanzitutto sulla
drammaturgia greca, ma essendo un progetto quadriennale avremo poi la
possibilità di spaziare facendo largo a Shakespeare e al suo Giulio
Cesare, uno dei
probabili titoli dell’edizione 2018. Un programma poco
nazional-popolare e molto raffinato perché credo fosse la scelta
giusta da fare in un caso particolare come questo. Il Teatro Grande
di Pompei non è un ambiente neutro ma un luogo fortemente
caratterizzato e pieno di fascino, esso stesso primo elemento della
narrazione teatrale”.
La
struttura architettonica è ampia ma non dispersiva. “E consente un
equilibrio perfetto tra la concentrazione di uno spazio al chiuso e
il fascino di uno spazio all’aperto. Le parole e gli sguardi degli
attori non si disperdono e raggiungono lo spettatore nella loro
pienezza. Allo stesso tempo il pubblico è proiettato nella distesa
archeologica di Pompei, museo a cielo aperto. L’indotto può essere
un aspetto fondamentale di questa operazione, perché di solito il
pubblico dopo la visita agli scavi va via, e se riusciamo ad
incrementare il numero di persone che restano, grazie ai nostri
spettacoli, l’obiettivo sarebbe stato raggiunto. In questo senso
abbiamo stretto un rapporto di collaborazione con Scabec, la società
campana beni culturali, per le visite al tramonto degli scavi seguite
dai nostri spettacoli teatrali”.
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