Il progetto di Cappuccio, direttore del Teatro Festival. La politica dei prezzi
di Anita Curci
di Anita Curci
Comincia
il 5 giugno in piazza del Plebiscito il Napoli Teatro Festival Italia
2017 con il concerto di Franco Battiato e interventi di Mimmo
Borrelli, Imma Villa, Fabrizio Gifuni che leggeranno brani dai grandi
pensatori del Sud. Prosegue fino al 10 del mese successivo con 80
titoli, italiani e internazionali, ripartiti in 10 sezioni con
intenti interdisciplinari, attraverso “la riunificazione delle
arti”, a dirla con parole del direttore artistico Ruggero
Cappuccio, in carica per 4 anni. Le discipline sono Danza, Musica,
Letteratura, Cinema, Formazione, Mostre, SportOpera, Laboratori,
Osservatorio, fino ai Progetti speciali come Quartieri
di vita
dove il teatro viene usato per sanare e formare giovani a rischio.
Bacino d’accoglienza del Festival è Palazzo reale dove molti
allestimenti saranno all’aperto. Tra le altre sedi, Politeama,
Bellini, San Carlo, Villa Pignatelli, Palazzo Cellammare, Teatro
Nuovo, Sannazaro. Poi collaborazioni di eccellenza: Eimuntas
Nekrošius e Peter Brook, per citarne un paio. Coinvolte
nella rassegna, anche Avellino, Benevento, Caserta e Salerno con
concerti di Peppe Servillo & Solis String Quartet.
Cappuccio,
il Festival è giunto al suo decimo anno, che impronta ha lasciato in
città e a cosa mira la sua gestione?
“L’iniziativa
che vide la nascita del Festival è notevole, si inseriva nella
volontà di dare a Napoli una piattaforma culturale che raccontasse
la sua identità. Sono state fatte, sotto la direzione di Quaglia,
cose di interesse. Nel tempo, tutte le edizioni hanno avuto picchi di
fascino. Ovviamente, un progetto così ampio e complesso ha
fisiologicamente momenti di crescita e crisi, questo è inevitabile.
E tuttavia nell’arco dei nove anni la rassegna, sia pure con
alterne vicende, è rimasta viva. Il contributo che io mi sforzerò
di dare si fonda sul desiderio di dialogare con la città passando
per atti pratici, il primo può essere il costo del biglietto,
ridotto nel prezzo o gratuito. Nessuno deve sentirsi escluso e
pensare che il teatro sia luogo di selezione sociale”.
Ridurre
il costo del biglietto basta a coinvolgere chi a teatro non c’è
mai stato per pigrizia intellettuale o per soggezione rispetto ad una
cerchia, escludendo esperimenti popolar-folkloristici, divenuta ormai
elitaria?
“Abbassare
il prezzo è uno degli elementi di possibile coinvolgimento. L’altro
è la trasmissione del sapere e del piacere. Lavoreremo per le nuove
generazioni, per cui,se a un ragazzo viene la curiosità di conoscere
come si muovono i burattini di Bruno Leone e sa di poterlo fare
gratis, forse lo fa. Varcare la soglia di un teatro determina di per
sé soggezione. Può aiutare il fatto che quest’anno gli spettacoli
si svolgeranno anche nella reggia di piazza del Plebiscito,
all’aperto”.
Ogni progetto ha
uno spirito guida, quello della creatività, razionalità,
tradizione, divertimento… Quale spirito pervade il suo?
“La
pacificazione. E sta nell’idea di abbattere i diaframmi per far
dialogare le arti tra loro. Ad esempio, Battiato è un musicista,
cosa c’entra con la scena? Moltissimo, direi, essendo lui un poeta
che lavora con parole e musica. Cosa è il teatro se non questo?
Demolendo tali confini, musica, poesia, letteratura, sport, possono
dimostrare insieme che il teatro è tutto. La città anche nelle sue
forme espressive va pacificata. Perché più racconta la propria
identità e più si fa teatro internazionale. Più si fa teatro
internazionale e più la si aiuta a raccontare la propria identità”.
Ogni
attività va avviata, accompagnata e sviluppata, ha detto. Pensa di
farlo attraverso i laboratori?
“Lo
sto già facendo con Quartieri
di vita che
riprenderà a dicembre. Tredici storie marginali in contesti campani
difficili hanno prodotto delle messinscene, e una, R.A.P.
Requiem a Pulcinella,
è stata scelta per il Festival”.
“Tutto
è già molto chiaro, con un festival diviso in dieci sezioni, basate
su realtà di periferia e una piattaforma rivolta al mondo
internazionale che attivi circuiti costruttivi: ho chiamato Nekrošius
proprio
perché arricchisca i nostri giovani con la sua poetica teatrale”.
Ha
dichiarato che il male maggiore è la mancanza di idee. Anche con
poco si può fare moltissimo, a condizione che i direttori dei
festival disegnino percorsi con identità chiare e obiettivi precisi,
privilegiando soprattutto il mondo degli invisibili. Concetti
contemplati nel suo programma?
“Assolutamente
sì, perché la sezione Osservatorio è dedicata proprio a tutte
quelle compagnie invisibili, che fanno fatica ad entrare nei circuiti
ufficiali. Quartieri
di vita
è esattamente questo, sostegno di realtà non inquadrate e
inquadrabili che però hanno dei valori. La questione delle idee è
centrale. Esistono attività che richiedono a volte quasi solo idee
per essere attivate, la mancanza di fondi allora è diventato un
pretesto per non occuparsi di cultura. Ad ogni modo, il Festival oggi
si fa con la metà delle risorse impiegate negli anni scorsi.
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