LA RAGIONE DEGLI ALTRI - Tato Russo: “Il mio Pirandello”


di Rita Felerico

Secondo Pirandello si scrive sempre, e comunque sui primi 10 anni di vita, e ogni mutamento che si allontani dalle certezze, possedute o acquisite, trascina con sé il rischio di generare una ferita, uno spaesamento. Con La ragione degli altri, in cartellone al Bellini di Napoli dal 2 all’11 febbraio e da una produzione TTR, Tato Russo ci dona una personalissima lettura del testo. Egli non taglia con le radici della tradizione rimuovendo o sostituendo. Piuttosto giustappone, si apre ai nuovi linguaggi, alla comprensione delle diversità, al dialogo che non divide il mondo in ‘io’ e ‘gli altri’.
Tato Russo, cosa l’ha portata a rileggere La ragione degli altri?
“L’attualità del testo. Fa riflettere su una tematica di grande interesse, che pone al centro dell’azione teatrale il nuovo concetto di famiglia, l’analisi del rapporto madre/figlia valutato a partire dalle ragione dei figli. Una materia avvincente, drammatica, da non trattare in chiave grottesca come fa Pirandello. E proprio in questo si traccia l’andar contro al format parafilosofico pirandelliano, estirpare la carne viva dei personaggi, spogliarli, descriverli nella loro veste reale”.
Si innesca un contrasto fra il regista e l’autore.
“Come in Sei personaggi in cerca d’autore, dove tutto nasce dallo studio della messa in scena di una commedia. Questi testi ci dicono dell’impossibilità della presenza della tragedia in Pirandello, espressione di un mondo borghese, di una situazione contestuale, storica, conformista anche in materia di ‘corna’, è la fotografia di una società alla quale si adegua con un linguaggio sofistico che evita il dramma: è il metodo da lui inventato”.
E il suo metodo invece?
"Più che leggere in chiave critica o contestuale, metto in gioco la mia idea sull’autore, eliminando le sovrastrutture, e mi concentro sul linguaggio letterario per far emergere, come dicevo, la carne viva dei personaggi. Per me sono importanti anche le virgole, la punteggiatura. Oggi sembra che la nuova drammaturgia sia monodica, l’autore non ha lingua, esistono parlate, ma non linguaggi d’autore. La conquista del linguaggio ci permette di fotografare il tempo”.
Qual è il peso della tradizione nel futuro del teatro?
“Si costruisce dal passato, che deve insegnarci il futuro, non si esiste solo nel presente, i posteri esistono se prendono in consegna i grandi da cui imparare”.
Il nodo della crisi del teatro oggi?
“Siamo dei dispersi, fagocitati da un sistema che ha sgretolato le categorie senza proporre nuovi valori; manca la poesia dell’incontro fra gli individui: le mani sono continuamente su uno smartphone, la gente è distante. Il teatro è in crisi per assenza di linguaggio comunicativo”.

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