LOCANDIERA B&B - Andò dirige Laura Morante in un classico di Goldoni riscritto da Eduardo Erba

di Eliana Bonadies


E' uno studio sulla Locandiera di Carlo Goldoni, riscritta da Eduardo Erba, con la regia di Roberto Andò, lo spettacolo che andrà in scena al Diana di Napoli dal 6 al 17 dicembre; ma è anche un ritratto non lusinghiero del Belpaese, in cui è l’amoralità a dominare. L’adattamento, in bilico tra leggerezza e humour nero, vede protagonista Laura Morante assieme a Giulia Andò, Bruno Armando, Eugenia Costantini, Vincenzo Ferrera, Danilo Nigrelli, Roberto Salemi. Nella finzione di Erba, Mirandolina, ribattezzata Mira, gestisce un bed and breakfast in Toscana, da cui il titolo Locandiera B&B. Nell’antica villa che lo ospita, suo marito organizza una cena con ambigui uomini d’affari ma, poi, non si presenta e tocca a Mira gestire l’imbarazzante situazione.
Andò, Erba lascia una traccia labile dell’opera goldoniana: lei come si è mosso tra originale e riscrittura?
“Aderendo allo spirito del testo. Ovviamente non ho messo in scena La locandiera, ma quella riscritta da Erba. Il suo testo si allontana abbastanza da Goldoni sia pur tratteggiando, soprattutto in Mira, una creatura femminile in sintonia con i nostri tempi, ma anche con il modello originario, che è moderno e anticonvenzionale. I personaggi tratteggiati alludono a un mistero in cui si riconosce antropologicamente l’Italia: perché è un Paese di malaffare, perché la donna ha un marito probabilmente coinvolto in beghe e intrallazzi, perché l’appuntamento che hanno gli uomini convenuti in casa ha a che fare con un ‘affare’ misterioso. Nell’essere oggetto di desiderio, Mira diventa manipolatrice: manovra fingendo di essere manovrata e, alla fine, si comporta da dark lady”.
Perché ha scelto Erba?
“Ho sposato lo spirito da divertissement di questa pièce, divertendomi a farla, un po’ perché da tempo mi sono imposto di scegliere ogni tanto autori contemporanei – mi pare se ne facciano pochi e la colpa è anche di noi registi – un po’ per incoscienza, dato che quando ho accettato non esisteva neanche il copione. Ma ho detto sì come si aderisce a un gioco teatrale, in cui una drammaturgia così importante si fonde con la sensibilità contemporanea e, quindi, anche con l’aspetto sfigurato di questo Paese, traviato dal crimine e dalla incapacità di rinascere. Tutto, comunque, è condito con toni leggeri. Altro dato che mi ha incuriosito: i personaggi si muovono dentro la musica, tanto che la pièce si modella come un melò noir, che mi pare ben si adatti con la scrittura di Erba”.
A proposito di musica, quanto è importante, e che ruolo ricopre per lei?
“È una drammaturgia capace di esprimere cose di cui la parola è incapace. A volte si decide di escluderla, togliendo tutto ciò che è stato usato durante le prove; altre volte, invece, si chiarisce un percorso e, alla fine, quel che rimane è il distillato drammaturgico di ciò che non si affida alla parola, ma apre nuovi orizzonti alla regia. A quel distillato la musica può dare un senso. In questo caso per me è stato subito chiaro quali suoni volevo: quelli di Alberto Iglesias, compositore di colonne sonore per film, noto perché collaboratore di Almodóvar. Quando ho letto il testo, per entrare nella scrittura, ho sentito queste composizioni precedentemente selezionate e già all’inizio delle prove sapevo esattamente come disporle”.
Lei ha già lavorato con la Morante in The Country di Martin Crimp: che rapporto esiste tra voi?
“Di profonda congenialità. Laura è un’attrice che mi piace molto. The Country aveva toni diversi, la scrittura di Crimp è più difficile perché il non detto del testo lascia suggestioni che talvolta lo spettatore italiano non comprende, come spesso accade con una certa drammaturgia anglosassone; si pensi a Pinter, per esempio. In occasione di quello spettacolo abbiamo entrambi compreso quanto c’è di comune tra noi e ci siamo ripromessi di lavorare ancora insieme. Ora, per esempio, fa anche parte del cast del mio nuovo film”.


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