VAN GOGH - Preziosi: “Affogo nel bianco per fare luce su un genio”

di Stefano Prestisimone

Ospedale psichiatrico di Saint­Rémy, Provenza, 1889: in una stanza totalmente bianca c’è Vincent Van Gogh, il genio della pittura più folle e straordinario della storia. È ridotto a uno straccio. Vive in uno stato di totale frustrazione a causa delle allucinazioni che scaturiscono dalla sua mente e dei divieti impartiti dai medici. In particolare è tormentato dal colore bianco delle pareti e di ogni oggetto: una vera tortura per un artista che ha fondato sulla prevalenza del colore tutta la sua arte. È dedicato all’immenso artista olandese Van Gogh. L’odore assordante del bianco, un lavoro scritto da Stefano Massini, proposto in prima nazionale nella scorsa estate al Ntfi e ora in scena al Verdi di Salerno dal 15 al 18 marzo, e al Mercadante dal 20 al 25. Protagonista è l’attore napoletano Alessandro Preziosi. La regia è di Alessandro Maggi, nel cast sono Francesco Biscione, Massimo Nicolini, Roberto Manzi, Alessio Genchi, Vincenzo Zampa; la produzione è di Khora Teatro insieme con il Teatro Stabile D’Abruzzo.
Preziosi, come si fa ad entrare nel mondo incredibile di Van Gogh?
“In realtà è stato l’autore, Stefano Massini, a farmi entrare in una piccola porzione del mondo del grande pittore. Pessoa diceva che dal suo ufficio di ragioniere, da quel piccolo mondo, lui riusciva a vedere il mondo intero. E anche io, da questo piccolo spicchio di vita di Van Gogh, da questi due anni trascorsi nel manicomio in Provenza dove si era ricoverato volontariamente dopo aver perso l’ispirazione, sono riuscito a ricostruire tutte le peculiarità e la caratteristiche del personaggio. Riuscendo, così, ad offrire allo spettatore un meraviglioso percorso all’interno della sua creatività”.
Dunque, c’è il Van Gogh pittore e il Van Gogh uomo?
“Non si parla di come dipingeva e perché dipingeva. Ma in assenza di colore si riesce a ricostruire, andando a ritroso, quali sono stati i passaggi fondamentali della vita di un artista e perché questa creatività, legata all’uso del colore, poi sia ritornata in vita”.
Perché “l’odore assordante del bianco”?
“È una frase che ha in sé una chiarissima sinestesia, ciò di cui in qualche modo soffriva Van Gogh. Attribuire un odore ad un colore è frutto di una combustione interiore con ciò che si cerca di rappresentare. E la potenza di questa combustione passa attraverso episodi legati alla vita, alla città frequentate, ai giochi che faceva da bambino, ai libri che leggeva, alla sua ossessione nel raccontare cose non vere. E ciò serve a far tornare a Van Gogh l’ispirazione, la consapevolezza che la sua forma alterata delle cose della vita è una fonte necessaria per dipingere”.
Un lavoro tra realtà e sogno?
Un thriller psicologico. Lui per offrire a se stesso la possibilità di accettare la propria malattia, di superarla e entrare in quella fase straordinaria che furono gli anni successivi al ricovero, passa attraverso una fase di trasfigurazione della realtà. Ovvero: come faccio a farmi tornare la voglia di dipingere? Immaginandomi in un ospedale con le pareti bianche, le finestre bianche, gli infermieri vestiti di bianco e dove perfino i fiori crescono bianchi”.
È stato al museo di Museo D’Orsay a Parigi per entrare nell’arte del pittore?
“Sì, e dal vivo non avevo mai visto prima le sue opere. Mi è stato concesso di vederle da solo. E non mi vergogno a confessare che ho pianto davanti a quelle meraviglie. Emozione allo stato puro anche perché riconoscevo la fatica e lo sforzo che inconsapevolmente avevo trasmesso nell’esecuzione di questa interpretazione”.
Altro personaggio è Theo, il fratello di Vincent.
“Theo, interpretato da Massimo Nicolini, è un alter ego molto potente. E lo spettatore scoprirà perché. Theo, secondo alcuni, è il motivo per il quale Vincent si è suicidato. L’affetto, l’amore, la riconoscenza nei confronti del fratello Theo, suo finanziatore generoso, è l’emblema di un rapporto che va al di là della fratellanza”.


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