Antonio Latella alle radici dell'atto creativo. La Biennale Teatro non una vetrina o un festival, ma un luogo dove seguire il processo che porta a uno spettacolo

di Stefano Prestisimone

E' diventato in pochi anni l’emblema della sperimentazione teatrale. Prima lo studio della recitazione alla scuola del Teatro Stabile di Torino e la Bottega di Firenze fondata da Vittorio Gassman. Poi la virata verso la regia grazie alla quale, appena trentenne, si è affermato sulla scena europea, portando sul palco, nel suo personalissimo stile, Genet, Fassbinder e Pasolini. Quindi il trasferimento a Berlino, continuando a pensare teatro con riscritture che allargano l’orizzonte del testo. Negli ultimi anni ha poi affrontato il rapporto con la tradizione rivoluzionando classici della scena ormai codificati, da Natale in casa Cupiello ad Arlecchino servitore di due padroni.  Antonio Latella, artista caparbio, ha sempre lavorato con la voglia di cercare, cambiare, sperimentare. Alla Biennale di Venezia è stato invitato numerose volte, fino all’investitura a direttore della Biennale Teatro per il quadriennio 2017-2020. Ora, dopo la prima stagione, si è aperta la seconda, con la presentazione del programma che culminerà nel festival in scena dal 20 luglio al 5 agosto per ciò che riguarda la sezione teatrale.
Latella, quale approccio ha avuto alla Biennale Teatro e che tipo di lavoro sta facendo?
“Preponderante è il mettersi al servizio di qualcosa di più grande di te. Nel senso che c’è un presidente come Paolo Baratta che ti aiuta e ti stimola a sentirti in armonia anche con gli altri settori. Ne sento molto la responsabilità e il peso perché non si tratta solo di programmazione, ma di provare a tracciare un percorso che sia come un college per tutti, che dia la possibilità a tutti quelli che vengono di un reale confronto. Stiamo continuando a parlare di teatro dall’interno del teatro. L’anno scorso il tema era la regia, quest’anno è l’attore/performer”.
Eccoci al secondo punto. C’è distinzione tra i due ruoli?
“Su questo tema ci siamo fatti delle domande. Se esiste una distinzione o se non c’è più, oppure se nel 2018 si deve ancora fare. E attraverso questo abbiamo cercato di ospitare artisti che esplorano questo campo attore/performer. E nel solco di tutto ciò arriva la scelta di Rezza/Mastrella per il Leone d’Oro, che in fondo si spiega da sola. Perché sono veramente dei performer straordinari di teatro e perché, a differenza di tanta ricerca, loro hanno creato davvero qualcosa di veramente unico e personalissimo. Ma è giusto parlare anche degli Anagoor per il Leone d’Argento che stanno costruendo benissimo il loro percorso. Mi interessa molto l’attenzione, il loro linguaggio teatrale, ma soprattutto la capacità di condividere nei loro spettacoli più situazioni artistiche”.
In che modo la Biennale deve provare a distinguersi dagli altri festival?
“Come lo scorso anno pensiamo sia importante non tanto mettere in mostra uno spettacolo ma mettere in mostra un processo creativo. La Biennale Teatro non può e non deve essere una sorta di clonazione dei tanti festival che ci sono in giro, non può essere un contenitore, una vetrina di spettacoli. Per il suo valore storico e culturale, è quel luogo dove una volta all’anno gli spettatori, gli operatori e tutti gli addetti del settore si incontrano per vivere insieme alcune giornate di cultura teatrale e per osservare i tanti linguaggi del teatro e il loro continuo evolversi. Un luogo dove possiamo vedere più opere di maestri, di registi, o più frammenti d’opera che ci concedono al contempo di assistere da vicino al processo creativo di un maestro o di un nuovo regista che traccia nuovi alfabeti, nuove grammatiche che sappiano evolversi in linguaggio. Per questo motivo, pur nel nostro piccolo, tentiamo di creare per ogni regista ospite delle piccole “personali”, che possano aiutare ad avvicinarci ai differenti mondi creativi dei vari artisti”.
Lo spazio ampio per le registe e la Biennale College under 30?
“L’accostamento di spettacoli, e quindi la creazione di mini-personali, ha evidenziato che soprattutto nelle registe donne è più facile, anche in un breve tempo, intravedere la nascita, o meglio, l’evoluzione dei linguaggi. E ovviamente questo ci ha stimolato a dare il passo di entrata alle registe donne. Riguardo la Biennale College l’idea era di promuovere un bando indirizzato a giovani registi e registe italiani. In un periodo storico, dove è evidente la frattura tra le passate e le nuove generazioni, vogliamo impegnarci a valorizzare il lavoro di chi non ha ancora raggiunto una vasta visibilità, per età o per oggettive difficoltà d’ingresso nel panorama teatrale. Il bando rivolge la sua attenzione alla regia, cercando nelle personalità più giovani originali aperture, punti di vista inediti che possano farsi anello di congiunzione tra la lezione della tradizione e lo sguardo sulla contemporaneità”.


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