Gabriele Russo dirige "L'ultimo Decamerone" di Massini. Così Boccaccio danza con il Bellini e il San Carlo

Di Giuseppe Giorgio

E' con la scrittura di Stefano Massini che il regista Gabriele Russo, dal 10 aprile al 6 maggio, al Bellini di Napoli, presenterà la sua visione della celebre opera trecentesca di Giovanni Boccaccio, reintitolandola L’ultimo Decamerone. Con la coproduzione della Fondazione Teatro di San Carlo e della Fondazione Teatro di Napoli - Teatro Bellini, le cento novelle del capolavoro boccaccesco saranno tutte racchiuse nell’unica novella immaginata dall’autore e diretta da Russo. Lo stesso, in sintonia con Massini, ha subito inteso evitare una interpretazione in chiave filologica dell’opera. “Una lettura – chiarisce il regista – che oggi sarebbe risultata anacronistica o già vista e rivista”.
Gabriele Russo, uno spettacolo che, a partire dalla coproduzione, rappresenta una novità.
“Sì, è il primo caso, infatti, in cui un Ente Lirico partecipa a una produzione con un Teatro di prosa”.
Parlando dell’Ultimo Decamerone cosa le ha fatto puntare l’attenzione sul testo di Massini?
“Il fatto che non si trattasse né di una riduzione, né di una riscrittura filologica, ma di un testo originale a tutti gli effetti, dove non si è scelta una novella in particolare, e dove le dieci novelle che fanno parte della stesura contengono l’essenza di tutte le cento dell’opera completa”.
Qual è lo spirito che ha inteso dare alla sua lettura di regista?
“Uno spirito evocativo, grazie al quale si darà nuova vita alle novelle narrate da personaggi bloccati nel tempo. Trattandosi, a proposito del Decameron, di situazioni ben definite nell’immaginario collettivo, non è stato facile rapportarsi a quanto già fissato nella mente delle persone. Ciò nonostante, ho inteso immaginare le aspettative del pubblico, sia pure con un testo diverso dove tutto viene ribaltato. Infatti, mentre nell’opera originale si cerca la vita attraverso la forza del racconto, nel nostro allestimento si evidenzia la stanchezza dei personaggi nel raccontare un qualche cosa che, nel frattempo, è diventata inutile. Tuttavia, la vita si impossesserà dei protagonisti dimostrando come il racconto sia indispensabile per vivere. Il tutto diventerà una metafora per dimostrare come, alla fine, non si possa fare a meno del teatro. Si tratterà, insomma, di una negazione che psicologicamente equivarrà ad una sottaciuta affermazione. Così, mentre ogni narratore negherà l’importanza del racconto, alla fine soltanto in esso tutti potranno trovare nuova vitalità”.
In che tempo ha ambientato il lavoro, come saranno i personaggi da lei immaginati e quale sarà il ruolo del corpo di ballo del Teatro San Carlo?
“Non vi sarà nessuna datazione. Il tutto con le scene di Roberto Crea, i costumi di Giusy Giustino e le luci di Fiammetta Baldissarri, sarà sospeso in un tempo indefinito e usurato. Per quanto concerne i personaggi, pur essendo più volte evocata la figura maschile, vi saranno solo sette donne (Angela De Matteo, Maria Laila Fernandez, Crescenza Guarnieri, Antonella Romano, Paola Sambo, Camilla Semino Favro e Chiara Stoppa) rinchiuse in un bunker posto in una sorta di mondo distrutto, a raccontare il tutto con i loro sentimenti. Al corpo di ballo e alle coreografie di Edmondo Tucci andrà il compito di rappresentare il ricordo di queste donne e alcune parti delle novelle”.
Cosa resterà alla fine del pensiero di Boccaccio?
“Soltanto un profumo fatto di eros, di temi e di riferimenti privati della lingua popolare, insieme con un bisogno di narrazione capace persino di superare quello dell’amore".

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