IL TEATRO CI GUARDA

Non rappresenta più la realtà oppure siamo noi a non capirlo più?
di Antonio Tedesco
Molti si lamentano che il teatro non rappresenti più la realtà. Che non sia più in grado di rispondere alle esigenze espressive dei tempi. Sopravanzato da altri strumenti di comunicazione più moderni, più immediati, più veloci. Ma forse, se si prova a guardare a fondo ci si accorge che questa non è l’interpretazione giusta dei fatti. Il meccanismo originario di riproduzione e interpretazione della realtà, della sua rappresentazione per brani, per frammenti, per accostamenti di senso, infatti, è già tutto lì, nel teatro. Ciò che si è prodotto dopo, in pellicola prima, e poi attraverso strumentazioni elettroniche o digitali, o in qualunque altro modo più evoluto e moderno, nasce sempre tutto da lì. Proprio per questo il teatro tanto più ci rappresenta quanto più ci sembra che si stia allontanando da noi. Perché in realtà siamo noi che ci stiamo allontanando dal teatro, che non siamo più in grado di capirlo. E il teatro, in questa sua presunta distanza, fa come sempre il suo lavoro. Riflette questa nostra incapacità. L’inadeguatezza della nostra presuntuosa contemporaneità di essere al suo livello. Il teatro ci guarda. A noi, pubblico, spettatori, che ci siamo sempre illusi di essere quelli che vanno a “guardare”. E invece è lui che ci aspetta lì, acquattato, sornione, nei suoi luoghi deputati, ci accoglie e poi, senza tanti complimenti, ci dice chi siamo, cosa stiamo facendo, perché siamo lì. E, forse, lo fa con tanta più forza quanto più ci pare insufficiente, inadeguato, fuori luogo, noioso. Anche perché capita che noioso lo sia davvero, a volte. E non potrebbe non esserlo. Riflessi. Inevitabili, ineluttabili. Il teatro ci guarda. E in un cattivo pubblico (vale a dire una cattiva società) si riflette un cattivo teatro.
Non rappresenta più la realtà oppure siamo noi a non capirlo più?
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