Aveva dedicato la sua vita alle scene e alla tradizione teatrale ereditata da Eduardo
Servizio di Anita Curci e Antonio Tedesco
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Servizio di Anita Curci e Antonio Tedesco
Se n’è andato
improvvisamente Luca De Filippo, grande erede della tradizione teatrale
napoletana, il 27 novembre scorso a causa di una grave malattia.
Figlio di Eduardo e di Thea
Prandi, aveva sposato da poco Carolina Rosi. La sua carriera era cominciata
vestendo i panni di Peppeniello nel ’55, ad appena sette anni, diretto dal
padre in Miseria e nobiltà di Scarpetta.
Nel tempo, con personalità,
aveva portato avanti l’arte scenica paterna, preservandola, rinnovandola. Ad
ottobre c’era stato il debutto di Non ti pago, opera riproposta dopo quasi 25
anni di assenza dai palcoscenici.
Luca incarnava il
personaggio di Ferdinando Quagliuolo. Poi un malore, l’interruzione delle
repliche e la sostituzione con Gianfelice Imparato.
“Non fermatevi, - aveva raccomandato
alla compagnia di attori poche ore prima della morte - continuate a recitare”.
E così è stato. Lo spettacolo, nonostante il grande dolore, si è svolto
regolarmente nella replica serale del 27 novembre, a Civitavecchia.
Una lunga e intensa carriera
quella di Luca De Filippo, in cui non c'è stato solo Eduardo. Nella sua pacata
irrequietezza di figlio d'arte, infatti, non ha mai smesso di cercare altre
strade. Ha incontrato autori italiani come Vincenzo Cerami (La casa al mare) e
i grandi nomi della drammaturgia europea del '900, quali Pinter e Beckett
(L'amante e Aspettando Godot). Ha lavorato al cinema, con Lina Wertmuller
(Sabato, domenica e lunedì), ma anche con Gabriele Muccino in Come te nessuno
mai, per citare solo alcuni passaggi del suo percorso artistico. Oculato
amministratore del patrimonio drammaturgico paterno, vi si è accostato sempre
con grande attenzione e rispetto. Solo in età matura si è cimentato con i
grandi classici del repertorio Eduardiano. Tra il 2003 e il 2006 porta in scena
Napoli milionaria, Le voci di dentro e Filumena Marturano, tutte con la regia
di Francesco Rosi. Negli anni giovanili pur recitando costantemente a fianco
del padre figurava in cartellone con lo pseudonimo di Luca Della Porta. E solo
nel 1981, quando Eduardo si ritirò dalle scene, fondò una sua Compagnia,
denominata, appunto, “Compagnia di Teatro Luca De Filippo”.
Recentemente aveva deciso di
mettere la sua esperienza al servizio di giovani leve di attori accettando di
dirigere la Scuola di Recitazione del Teatro Nazionale di Napoli, che ha sede
presso il Teatro San Ferdinando. Ma il suo impegno era rivolto anche all'aiuto
e al recupero dei ragazzi difficili, quelli che nascono in ambienti socialmente
disagiati e sono definiti “a rischio” per le pericolose contaminazioni con la
malavita a cui sono esposti.
Ma al di là dei suoi grandi
e riconosciuti meriti artistici e umani qualche considerazione è d'obbligo.
Non è stato facile per lui,
come non lo sarebbe stato per nessuno, essere il figlio di Eduardo.
Eppure ha sostenuto questo
ruolo che la vita gli aveva assegnato con dignità, riservatezza e misura.
Quella stessa misura, non priva di tenacia e di passione, con la quale ha
condotto la sua carriera di attore e regista. Ha sempre avvertito la
responsabilità, oltre che l'orgoglio, di
essere l'erede di una
tradizione teatrale radicata profondamente nella sua famiglia. Una tradizione
che, senza dubbio, è tra le più importanti del '900, non soltanto italiano.
Un peso portato con
leggerezza, e diremmo con classe e stile inimitabili. Così come quasi in punta
di piedi è avvenuta la sua uscita di scena, cogliendo di sorpresa i più, e
chiudendo il sipario su una vita, dove l'impegno artistico non si è mai
disgiunto da un forte sentimento di dignità e di senso del dovere. E questa,
per i suoi allievi, purtroppo mancati, rimane la prima, grande, imprescindibile
lezione.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Commenti
Posta un commento