Dal testo di Giuseppe Patroni Griffi, con la regia di
Francesco Saponaro
Di Luciano Galassi
Fino
al 15 novembre è andato in scena al Mercadante Teatro Nazionale di Napoli, nell’adattamento
e regìa di Francesco Saponaro, l’opera In
memoria di una signora amica che Giuseppe Patroni Griffi scrisse nel 1963.
Il testo, che fu portato per la prima volta sulle scene dalla “Compagnia dei
Giovani” di De Lullo e Valli, ci riporta alla Napoli del dopoguerra e si
articola in quattro giornate fra il 1945 e il 1950. L’autore ci presenta
un’umanità che sembra non avere ideali e che stenta a rifondare le proprie
esistenze dopo gli orrori e le privazioni del conflitto bellico, le cui
conseguenze ancora si avvertono nell’economie delle famiglie.
Il
personaggio paradigmatico di tale situazione è Mariella Bagnoli (interpretata
da Mascia Musy), intorno alla quale ruotano le quattro amiche Urania (Imma Villa),
Gennara (Fulvia Carotenuto), Margherita (Antonella Stefanucci) e Antonia (Valentina
Curatoli).
Mariella
vive di espedienti, affittando la camera da letto alla ex cameriera Pupatella (Clio
Cipolletta) che adesso fa la prostituta e il soggiorno alle amiche per
pittoresche partite di poker. Il figlio Roberto (Edoardo Sorgente) ne soffre e,
dopo vari scontri con la madre, se ne va a Roma senza alcun preavviso e senza
salutarla.
In
questa fase si disegna e si consolida l’affetto e l’ammirazione per lei di
Alfredo (Eduardo Scarpetta), amico di Roberto, che non lo segue a Roma e rimane
a Napoli nell’attesa del momento in cui anch’egli dovrà dedicarsi a un’attività,
che per ora non ha alcuna intenzione di cercare e di intraprendere. Alfredo ha una
filiale devozione per Mariella, nella quale vede quella “vera” madre che, per
vicende familiari, non ha mai avuto, essendo stato fatto crescere in casa della
nonna.
In
questo sentimento c’è il fulcro e la ragione del lavoro teatrale, che tocca anche
altri temi: lo squallore del dopoguerra, il colpevole sonno delle coscienze,
l’incertezza del domani, l’ambizione e di contro le velleità, la prostituzione,
la passione, l’adulterio.
È
stato detto che il testo “gronda di letterarietà”, e questo in parte è vero; ma
l’autore amava affidare le sue ragioni ai personaggi e alle parole dagli stessi
pronunciate, per cui in questo allestimento ciò in parte si perde negli
interventi mirati a snellire le scene e ad accorciare i tempi, come si nota con
evidenza specialmente (e ce ne dispiace) nel finale, quando Mariella si
commiata dalla vita. Insomma, gli originari ritmi cadenzati, che fluivano con
una loro strutturata progressione grazie alle parole dei personaggi, sono stati
spesso contratti per una maggiore speditezza dei tempi scenici.
Parliamo
di un testo “irrimediabilmente datato, a partire dal dichiaratissimo
autobiografismo che lo connota”, quasi a giustificare gli interventi
dell’adattatore-regista. C’è da dire però che non c’è testo che non sia datato
e che, se lo si sceglie, lo si sceglie per quello che è e come è. Sono comunque
da apprezzare gli sforzi e l’inventiva di Saponaro in questa messa in scena che
non può confrontarsi con quella rappresentata nel 1963 dal regista Francesco
Rosi e quella del ‘78 allestita da Mario Ferrero, che si avvalse di attrici del
calibro di Lilla Brignone (Mariella)
e Pupella Maggio (Gennara).
Peraltro
l’ansia di ammodernamento dell’opera ha portato a un anacronismo laddove un
personaggio, nell’anno 1945, accenna alla canzone Malinconico autunno che è del 1957, e a una vera e propria
forzatura quando, in una scena, durante un colloquio Alfredo si china come a
dare un bacio sul collo di Mariella che gli volge le spalle: l’azione - del tutto fuori testo - non si compie perché nel momento cruciale la
donna, non sappiamo quanto consapevolmente, mette una distanza fra sé e il
ragazzo facendo un passo avanti.
La
realizzazione, tutto sommato, è da ritenersi positiva, con un regista giovane,
ricco d’ingegno e padronanza scenica, e con attori bravi (destinati per il
futuro a interiorizzare sempre di più i personaggi che interpreteranno, e ciò
vale per i più giovani) fra i quali spiccano una misuratissima e intensa Mascia
Musy e Tonino Taiuti nel ruolo del sanguigno maestro di musica - nonché marito
tradito di Gennara - sulla cui
caratterizzazione Saponaro ha avuto la mano veramente felice.
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