Cirillo scruta nella patologia dell’amore

Il regista tra la Rosalinda di Patroni Griffi e la Virginia Woolf  di Albee
di Pino Cotarelli
Doppio appuntamento con Arturo Cirillo che sarà a Napoli, al Teatro Nuovo, dal 15 al 17 gennaio, con Scende giù per Toledo, di Giuseppe Patroni Griffi, e al Bellini, dal 26 al 31 gennaio, con Chi ha paura di Virginia Woolf? di Edward Albee.
Cirillo, Rosalinda Sprint è un personaggio tipico dei Quartieri dove vive?
 “E’ un po’ metafora della città, ambigua, indefinibile, accettata ma anche disprezzata, modernissima e arcaica allo stesso tempo. Vive le contraddizioni di un popolo contaminato, fedele alla sua storia di dominazioni, resistenze e rivolte”.
Allestimento che può essere recepito fuori dal suo contesto territoriale?
 “Ha funzionato bene a Milano, ad Andria, dove le recensioni hanno confermato che il personaggio funziona anche al di là del suo aspetto teatrale”.
Si riesce a far risaltare in scena l’equilibrio tra l’aspetto romantico e quello provocatorio?
 “Il testo ha dentro questi due aspetti, cerco di renderli entrambi. Non a caso il personaggio è sempre dentro e fuori di sé, con un continuo narrare in prima e in terza persona. E’ la doppia anima di Rosalinda.”
Rosalinda cercava il suo amore eterno, ad un tratto gli sembra anche di averlo trovato in Jack Cartwright, lei l’accontenta nel finale?
“Patroni Griffi non lo fa, Jack va via. Lei alla fine è di nuovo nella sua cameretta a fare pulizia. E’ anche il ripetersi di tutte le storie. Continuamente ci illudiamo e continuamente ci riproviamo. In fondo cos’è l’amore se non questo?”
Di amore tormentato e impossibile si parla anche in Chi ha paura di Virginia Woolf? Seppure in modi e contesti diversi. Cosa l’ha spinta a mettere in scena questo lavoro? 
“E’ stata molto controversa la storia fra me e questo testo. Sofferta, specie all’inizio. Ho fatto una serie di tagli, finché non ho trovato la giusta sintonia. E’ stato faticoso fare i conti con le dinamiche autodistruttive di questa coppia. Col fatto che l’amore si poteva declinare anche nell’odio, nel sadismo e nel masochismo che entrambi esprimono”.
Nel gioco al massacro che si scatena tra i due prevale l’enfasi teatrale o è riscontrabile una reale esperienza di convivenza?
“Ho cercato di dare spazio più alla seconda che alla prima. Nel senso che il gioco della coppia ubriaca che si dice di tutto e se le dà di santa ragione non è certo originale, ma se si riporta su un piano di verità, ovvero, su come una coppia si può fare male e contemporaneamente amarsi profondamente, ritorniamo su un tema attuale”.
 Le due coppie del dramma, quella più anziana, e la più giovane, sono in qualche modo speculari l’una all’altra? 
 “La coppia più anziana è quella che descrive meglio le proprie distorsioni, in ogni senso. E per i giovani rappresenta un modello negativo, quello che essi stessi potrebbero diventare un giorno. Ma non è detto. Drammaturgicamente, poi, i più giovani svolgono una funzione essenziale, sono lo specchio, e allo stesso tempo gli spettatori, davanti ai quali i due protagonisti esibiscono in maniera quasi compiaciuta le proprie intemperanze”.
Con Cirillo sulla scena, Milvia Marigliano, Valentina Picello e Eduardo Ribatto

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