Rubini collega il teatro e il cinema per studiare la patologia della coppia

di Germana Squillace
Una coppia può vivere di solo amore? È a questa domanda che cerca di dare risposta Provando… dobbiamo parlare, nuovo spettacolo di Sergio Rubini scritto con Carla Cavalluzzi e Diego De Silva. Due coppie amiche, interpretate dallo stesso Rubini con Fabrizio Bentivoglio, Maria Pia Calzone e Isabella Ragonese, trascorrono insieme una serata durante la quale emergono segreti, differenze e desideri. La commedia, da una produzione di Nuovo Teatro, andrà in scena al Diana di Napoli dal 27 gennaio al 7 febbraio 2016. Ma Provando… dobbiamo parlare è un progetto duplice. Parte dal cinema per arrivare al teatro, e viceversa, come spiega l’attore e regista Rubini: “Ho deciso di creare un lavoro che potesse passare da una dimensione all’altra senza risentirne. Un ritorno alle origini dato che il mio primo film La stazione, nacque in realtà come testo per il palcoscenico”.
Questo nuovo allestimento risente, nella sua costruzione, del modello cinematografico e viceversa? O i due spettacoli sono indipendenti?
“Non sono un regista teatrale quindi porterò in scena quello che ho imparato facendo cinema. Il teatro per me è stato uno strumento con cui ho potuto raccontare il backstage del film. Ovviamente avere un’unica unità di luogo, il salotto, mi ha facilitato la trasposizione”.
 In Provando… dobbiamo parlare lei usa un linguaggio metateatrale per cui spesso il piano della storia e quello delle prove del film si confondono. Come mai? 
“Penso che oggi lo spettatore, specialmente quello che va a teatro, sia esigente e intelligente. Vuole essere partecipe delle esibizioni a cui assiste. Così gli ho mostrato lo scheletro dell’operazione per fargli cogliere l’interpretazione e il senso delle parole. Riprendendo un’idea di Brecht, ho cercato di rendere lo spettacolo meno gastronomico e più didattico”.  
“Dobbiamo parlare” è la tipica frase di una coppia in crisi. Da come va a finire la storia pare che lei non abbia molta fiducia nella forza dell’amore…
“Ci credo, ma lo spettacolo pone l’accento sugli stereotipi comuni. Da una parte vi è una coppia borghese affetta dal male del materialismo che opacizza e impoverisce il sentimento, ma che contemporaneamente trova nei beni materiali un collante. Dall’altra parte invece c’è una coppia di intellettuali, non sposati, che si scelgono giorno dopo giorno, vivono in una situazione di precarietà e sono uniti solo dall’amore. Dovrebbero essere felici, ma non è così perché forse nella società in cui viviamo questo non è sufficiente. Anch’io a un certo punto ho sospettato che stessi scrivendo un racconto contro l’amore ed è per questo che ai quattro personaggi ho contrapposto una coppia di pesci che stanno insieme perché si sentono attratti l’uno verso l’altro. In natura l’amore esiste, sono le sovrastrutture a distruggerlo”.
 Il quartetto in azione sembra quindi confermare il fallimento della coppia borghese…
“Sia la coppia borghese che quella intellettuale falliscono. Però forse i coniugi borghesi hanno una sorta di saggezza, o arrendevolezza, che permette loro di mettere da parte, al momento opportuno, tutti i problemi. Anche se fosse solo per non dividere il patrimonio. Invece sono proprio gli innamorati a soffrire perché più esposti”.
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