I Servillo e l’arte di rappresentare Napoli

Un omaggio in musica e teatro da Viviani a Moscato

di Anita Curci
"Io e Peppe ci assomigliamo, ci capiamo, condividiamo la stessa cultura. C’è un codice familiare che ci lega, un legame fraterno che si è consolidato con le nostre reciproche scelte. Quando ho deciso che sarei tornato a Eduardo De Filippo con Le voci di dentro, ho subito pensato a lui”. E Peppe: “Io e Toni siamo affiatati, lo siamo da sempre e non solo in quanto fratelli. Con Le voci di dentro, con cui ho debuttato nella prosa, non cercavamo un pretesto per lavorare insieme ma un progetto che mettesse il nostro ruolo al servizio della pièce. Ora, abbiamo la possibilità di condividere in scena altre passioni, tra musica e poesia; materia, in effetti, già affrontata singolarmente, lui in Toni Servillo legge Napoli e io con Spassiunatamente, assieme agli straordinari musicisti del Solis String Quartet”. Toni e Peppe Servillo: ancora uno al fianco dell’altro in un altro spettacolo che unisce parole, musica e Napoli, La parola canta, il 2 e il 3 gennaio al Gesualdo di Avellino e al Bellini di Napoli dal 5 al 17.
Toni, Peppe, recitate canzoni, cantate poesie...
“Lo spettacolo attraversa l’opera di autori classici, come Eduardo e Viviani, E. A. Mario e Bovio e giunge fino a voci contemporanee come quelle di Enzo Moscato, Mimmo Borrelli, Franco Marcoaldi e Michele Sovente. Musica, poesia e teatro si fondono in un unico gesto creativo per restituire al pubblico il nostro appassionato omaggio ad alcune grandi anime della cultura scenica partenopea”. Oltre ai classici, anche i contemporanei: perché?
“Ci sentiamo in debito con Napoli, per la grande ricchezza che ci ha donato e che può essere un trait d’union capace di unire le voci di Borrelli, Moscato, Marcoaldi e Sovente a quelle dei grandi autori del passato. È il caso di Eduardo, di cui proponiamo Vincenzo De Pretore, poemetto in lingua del ‘48, in cui, particolarmente si palesa quel rapporto speciale, caratteristico di tantissima letteratura napoletana con la morte e l’aldilà. Ed è il caso di Viviani, con l’attualissima e tragica cronaca di una morte bianca nei versi di Fravecature. Ad essi accostiamo la lingua aspra di Borrelli, con la torrenziale e profetica ouverture di Napule e la sanguigna e veemente invettiva di A sciaveca, e la lingua contemporanea, colta e allusiva, di Litoranea di Moscato, tagliente riflessione sulle contraddizioni e il degrado di Napoli che, nel ‘91, costituiva il finale di Rasoi, spettacolo-manifesto della prima fase di Teatri Uniti”.
Teatro e musica… arti diverse al servizio di un sogno.
 “Il teatro si fa musica e la musica teatro. Là dove il primo, talvolta, non riesce, la seconda ricapitola la nostra esistenza e ci consente di immaginarne un’altra in un luogo che non c’è, totalmente astratto. In quel non luogo nasce La parola canta, dove lo spettatore può liberare tutta la propria immaginazione”.
Quale Napoli viene fuori dallo spettacolo?
 “Tutto ciò che proponiamo sulla scena contribuisce a definire un ritratto in prosa, versi e musica di una città dai mille volti e dalle mille contraddizioni, divisa fra l’estrema vitalità e lo smarrimento più profondo. Di essa la lingua è il più antico segno, forgiato dal tempo e dalle contaminazioni. Napoli è una realtà, non solo della canzone, ma del teatro e dell’arte, che ha ancora un’identità corrispondente alla propria Storia. Tanti suoi problemi alla fine derivano proprio dall’essere stata una capitale della cultura, e lo dico senza banalizzare o esprimere nostalgie fuori luogo. Amo l’Italia e penso che Napoli sia una parte significativa della storia del nostro Paese: a volte una ferita, a volte un gioiello di rara bellezza”.
Cosa vi ha ispirato nella scelta delle canzoni? 
“François Truffaut sosteneva la loro importanza, perché aiutano la gente, e faceva dire a un suo personaggio: ‘Le canzoni dicono la verità. Anche se sono sceme dicono la verità…’. Nel caso di quella napoletana, si tratta spesso di autentici capolavori della letteratura musicale del mondo intero”.

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