“Vi porto nella mente di Zeno, l’uomo abitato da un condominio"

Nuova pièce della Parrella scrittrice “in prestito” al teatro
 di Andrea Fiorillo
Sarà in scena al Teatro San Ferdinando di Napoli, dal 20 gennaio al 7 febbraio del prossimo anno, il nuovo testo della scrittrice napoletana Valeria Parrella, Dalla parte di Zeno. In prima assoluta e prodotto dallo Stabile napoletano, la rappresentazione sarà diretta da Andrea Renzi e vedrà in scena Carmine Borrino, Fulvia Carotenuto, Valentina Curatoli, Cristina Donadio, Mascia Musy, Antonella Stefanucci, Tonino Taiuti.
 Valeria, che cosa l’ha ispirata nella costruzione della pièce?
“Dallo Stabile mi è arrivata la richiesta di scrivere un’opera in lingua napoletana da portare in scena al San Ferdinando. Da qui l’idea di un uomo abitato da un condominio”.
Dalla parte di Zeno fa riferimento al classico di Italo Svevo? E perché? 
“Quando si elabora un pezzo si deve tenere presente tutto ciò che è stato scritto prima. Dovendo raccontare un’esperienza psichica, ho preso di mira due titoli precursori della letteratura sull’argomento. Proust, che respirava l’aria europea del ricordo e della memoria come percezione chiara prima della nascita della psicoanalisi, e Svevo, che invece aveva la sua produzione coincidente con la grande rivoluzione freudiana e apre la narrativa italiana sull’argomento”.
 Il condominio che si riunisce ogni volta che il protagonista deve prendere qualche decisione è la metafora di cosa?
 “Di nulla. Non credo alle metafore, ma alla vita, al sogno, alla fantasia. In letteratura l’uso della metafora è pericolosissimo. Nel classico di Svevo il protagonista ribalta il rapporto tra sanità e malattia: l’inettitudine si configura come una condizione aperta, disponibile ad ogni forma di sviluppo; e di conseguenza la sanità si riduce a un difetto, l’immutabilità, la totale incapacità di cambiamento”.
 Lo stesso accade nel suo Zeno?
 “Non è lo stesso, sono trascorsi ormai 100 anni e abbiamo avuto il tempo di mentalizzare, e metabolizzare l’esperienza della pazzia verso la “sanezza” , e comunque il mio testo non si occupa di questo, si sviluppa su binari diversi che poi vedrete”.
Che cosa pensa della nuova stagione del San Ferdinando? A lei e a Cappuccio lo Stabile ha dato l’incarico di rinnovare la tradizione restituendo al teatro di Eduardo la sua vocazione.
“Sa cosa mi angoscia? L’idea che sia sempre una nuova stagione per il San Ferdinando. Vorrei fosse un’officina aperta, vissuta. Ci si è provato tante volte, sotto la direzione De Rosa furono spostati lì gli spettacoli più ambiziosi, si fecero le serate antimafia, il comitato artistico condusse il progetto dei vespertelli, ogni anno Maurizio Braucci ci conclude Arrevuoto, l’anno scorso c’è stato Servillo… e pare che stenta sempre a rinascere. In quanto alle scritture, Ruggero Cappuccio è un raffinato scrittore ma è soprattutto un vero drammaturgo, conosce la scena e le sue leggi. Io sono “in prestito” al teatro. Nasco come scrittrice solitaria, di quelli che stanno chiusi due anni in una stanza e poi esce un libro”.


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