Così Sgarbi rilegge Caravaggio

Di Viola De Vivo

L’indiscussa vis istrionica di Vittorio Sgarbi lo ha portato, negli ultimi anni, a cimentarsi anche con il teatro. Dopo Sgarbi l'altro (2009) e Discorso a Due (2010), è ora la volta di Caravaggio. Lo spettacolo, una produzione Promo Music con la regia di Angelo Generali, ha debuttato l’estate scorsa, e sarà al Gesualdo di Avellino il 18 febbraio.
Sgarbi, perché in tutta la storia dell’arte ha scelto di portare in scena proprio Caravaggio?
“Perché è il pittore più moderno, più vivo, più vicino al nostro tempo. Racconta qualcosa che ci riguarda”.
Cosa?
“La sua visione della realtà, la sua verità delle cose. Caravaggio è l’inventore della fotografia, il primo che coglie le istantanee dei comportamenti dei personaggi e li rappresenta con la pittura. Lo spettacolo è la mia interpretazione della capacità di Caravaggio di uscire dalla dimensione degli ideali del mondo celeste, scendere a terra e raccontare la vita così com’è”.
Che differenza c’è tra questo spettacolo e una sua lezione su Caravaggio?
“Invece che essere in una sala conferenze o in un’università siamo a teatro. Il teatro è un campo allargato, perché oltre alle parole e ai concetti ci sono delle immagini molto suggestive ed evocative. La scenografia video di Tommaso Arosio è costituita dalla proiezione di poco meno della metà delle opere di Caravaggio, ingrandite, con molti particolari che creano l’atmosfera”.
Sicuramente all’atmosfera contribuisce anche la musica.
“È composta e suonata dal vivo da Valentino Corvino, giovane direttore d’orchestra e violinista, che fa uscire la musica dai quadri che rappresentano i suonatori, come se noi sentissimo i testi che i personaggi di Caravaggio non ci possono trasmettere, interpretati da lui con evocazione e fedeltà”.
E veniamo al contenuto dello spettacolo: quanto è copione e quanto improvvisazione?
“Il contenuto è legato al mio umore di ogni sera. C’è molta improvvisazione perché in ogni serata io aggiungo delle cose, a seconda di ciò che la cronaca ci dice su materie abbastanza incandescenti”.
Un ruolo chiave nella sua lettura di Caravaggio è ricoperto da Pasolini.
“Caravaggio è stato dimenticato fino agli anni ‘30-‘40 del Novecento, quando lo riscopre il critico Roberto Longhi, di cui Pasolini era allievo. Pasolini ha preso i soggetti di Caravaggio e li ha fatti diventare tableaux vivants; ha fatto riflettere a se stesso e ai suoi protagonisti il rapporto che Caravaggio aveva con quel mondo border line che viveva a Roma, ma non era degno di essere rappresentato: ‘ragazzi di vita’, puttanieri, prostitute… E questa è la sua vera novità”.
Negli ultimi anni Caravaggio fu anche a Napoli: in cosa Napoli lo ha ispirato?
“A Caravaggio piace molto il Meridione. È il primo che dipinge la realtà dei bassi napoletani. Le Sette opere di misericordia sono tutte in una sola strada: ogni episodio è a sé, ma è come se tutto fosse avvenuto nello spazio di venti metri. Caravaggio è capace di rendere la realtà particolarmente variegata in un’unità di spazio e di azione. Riesce a far sentire anche il cattivo odore delle strade”.

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