E Salemme partorisce il Tronchetto della felicità- Sogni e bisogni, dall'attore commediografo un inno alla gioia di vivere

Di Federica De Cesare

In scena dal 9 al 21 marzo sui palcoscenici del circuito del Teatro Pubblico Campano, Sogni e bisogni, l’irriverente commedia scritta da Vincenzo Salemme nel 1995 e tratta dal romanzo di Alberto Moravia Io e lui.
L’opera narra le vicende del grigio Rocco Pellecchia e del suo “pene” che frustrato e stanco di un’esistenza mediocre, decide di essere libero e di staccarsi materialmente dal proprietario, per spingerlo ad affrontare la vita con decisione e virilità, riprendendosi ciò che gli è dovuto.
“Il tronchetto della felicità”, denominazione con cui l’attributo maschile preferisce farsi chiamare, attraverso la maestria dell’artista napoletano, diviene esso stesso personaggio, rivendicando il suo status di protagonista, in scena come nella vita.
Salemme, una commedia divertente, ma non frivola, che fa sorridere, ma anche riflettere. In che modo, uno spettacolo dedicato al “tronchetto della felicità” rappresenta un inno alla vita?
“Non pretendo di far riflettere gli altri; tutto nasce da una mia riflessione sulla crisi dell’uomo di mezza età, sulla crisi di un padre che si sente incapace, in una società come questa, di trasmettere ai propri figli la fiducia nel futuro. Uno stato d’animo che lo rende impotente e lo lascia disorientato.
L’uomo perde il contatto con il proprio sentirsi maschio e si lascia andare a livello emotivo e di conseguenza anche esteticamente. È in questo senso che il tronchetto della felicità rappresenta un inno alla vita, perché staccandosi e rivendicando il proprio ruolo, scuote Rocco aprendogli gli occhi”.
Le nuove generazioni risultano spesso troppo pretenziose e incapaci di godere delle piccole gioie della vita.
“Abbiamo insegnato alle nuove generazioni a non accontentarsi, a essere desiderose di possedere; nella vita bisogna sempre mirare in alto ed essere assetati, ma di conoscenza e cultura non di cose effimere e materiali”.
È in quest’ottica che va letta la sua affermazione “sognare sì ma con i piedi per terra”?
“Non bisogna smettere di sognare o di avere paura dei propri sogni perché potrebbero non avverarsi e né bisogna realizzarli a tutti i costi, altrimenti si chiamerebbero programmi. Il sogno è bello per il suo essere tale, proprio perché quasi sicuramente non si realizzerà.
Un padre che non realizza i sogni dei figli non è “un uomo senza palle”, soprattutto laddove i sogni sono semplicemente possedere un’auto nuova.
Il migliore insegnamento che un padre può dare è trasmettere valori semplici, ma profondi, con i quali portare onestamente avanti la propria vita”.

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