La Sala Ichòs sceglie sull’onda di Gaber libertà e partecipazione

Di Maddalena Porcelli

Continuiamo l’esplorazione delle realtà teatrali che vanno sviluppandosi in periferia e che rappresentano un baluardo di resistenza della cultura contro quelle politiche finanziarie che privilegiano sempre più spesso i teatri consolidati e autoreferenziali. “Le periferie sono uno stato mentale”, dichiara Salvatore Mattiello, direttore artistico della Sala Ichòs Zoe teatro di San Giovanni a Teduccio, il cui toponimo deriva dall’antica Teodosia, quartiere di storica memoria operaia, le cui industrie, una volta dismesse, hanno lasciato il campo a politiche di speculazione edilizia con conseguente abbandono e degrado del territorio.    
Mattiello, come nasce Ichòs Zoe teatro?
“Collocare la nascita di Ichòs Zoe Teatro in un tempo preciso è difficile. Forse alla fine degli anni ‘70 in uno scantinato dove tornò sui trampoli uno di noi andato militare a Bologna. Chiamammo quello scantinato Libertà e Partecipazione mutuandolo da Gaber e mutando inconsapevolmente il macigno della “è” verbo che inchioda fissandoli per sempre i concetti le cose le persone le une alle altre, nella più leggera e fluida “e” congiunzione che invece le lega - le cose le persone i concetti - ma lascia loro uno spiraglio una via di fuga una partecipazione ad altro e a l’Altro appunto. Da lì vennero poi i coltelli le clavette il fuoco le corde le storie di strada le feste di piazza i carnevali: il Teatro di strada, insomma”.
Poi cosa è successo?
“Nel 1999, in occasione del bicentenario della Rivoluzione Napoletana, decidemmo di celebrare l’evento con una riflessione, con un nostro lavoro di strada dal titolo 1000settenovecento99:  il tempo perduto ritrovato rovesciato e giusto della Rivoluzione Napoletana, lavoro da tenere sul Campo Sportivo Buonocore, dove un tempo, allora e ancora oggi si affaccia la nostra scuola elementare nei cui sotterranei abbiamo rinvenuto i banchetti le lavagne le sedioline i registri gli armadietti per la scene di Karont’ e ‘a luna e di La classe morta di Kantor, di cui Karont è anagramma, così come Attore è anagramma di Teatro, la qual cosa dice perfettamente quali spalle il TEATRO debba scegliere come sue fondamenta. Infine chiedemmo uno spazio per il nostro teatro e così nacque la Sala Ichòs”.
Quali i progetti in campo?
“Oggi portiamo avanti una programmazione tra ostacoli e difficoltà di varia natura, ma con l’entusiasmo di sempre. Sabato 16 gennaio 2016 presso Sala Ichòs Lalla Esposito ha fatto Viviani.  Domenica 17 abbiamo fatto Eduardo o meglio anche Eduardo”.
Un teatro di tradizione?
“Noi che amiamo Brecht siamo per così dire naturalmente più vicini a Viviani: Brecht oltre alla cosa enorme che è, è anche tra le righe dei suoi scritti, tra gli spazi dei suoi pensieri e a saperla rintracciare, una “sistemazione” teorica del teatro di Viviani. Eppure prima di Viviani abbiamo intercettato Eduardo e prima ancora avevamo intercettato Ruccello. Ora noi sappiamo e allo stesso tempo, però, non sappiamo se riusciamo a farlo vedere a chi ci guarda, che nella nostra “Sposa Sola” ci sono, oltre prima e dopo Eduardo, Brecht e Ruccello. E forse c’è anche Viviani”.
Nella “Sposa sola” di cui firma la regia, c’è un intreccio profondo tra la Medea di Euripide e la Filomena di Eduardo…
“Se togliamo a Filomena quella forsennata strategica determinata aspirazione borghese mirante a un riscatto sociale e morale; se le sottraiamo quello che lo stesso Eduardo definisce: la spinta a rivendicare per sé e per il popolo che rappresenta una parte del benessere, delle ricchezze e delle felicità prodotte; se le togliamo di dosso la omertà riguardo le cose del suo vissuto di puttana - la carne viva delle cose del suo vissuto di puttana - e le forniamo una lingua adatta per dirlo, ecco che ci ritroviamo davanti il ritratto perfetto di una creatura di Viviani. Una Bammenella ‘e ‘coppe ‘e quartiere per esempio, ma anche una Jenny delle Spelonche o ancora una Jennifer. Tutte e quattro puttane, tutte e quattro potentemente donne e femmine al di là della loro Identità sessuale, ammesso che oggi ancora abbia un senso e uno scopo parlare di e rivendicare una Identità, di qualunque genere essa sia: l’Identità dell’Essere rappresenta oggi una porta blindata sbattuta in faccia alle dinamiche della realtà e un rubinetto stretto chiuso serrato che non lascia passare la linfa della vita: oggi più che mai Essere è non Essere e l’Identità deve rappresentare il potente assetto, la potente struttura umana che ci sorregge e ci sostiene, che ci porta in giro, con cui andiamo in giro e che ci consente di stare armoniosamente dentro questo perenne non Essere senza mai risultare rinunciatari sconfitti devastati. Tutte e quattro puttane dicevamo e tutte e quattro potentemente donne e femmine ma solo una, Filomena, lega indissolubilmente questa potenza alla Maternità, da rivendicare a tutti i costi e qualunque siano le condizioni sociali e familiari di contorno, ed è questa forza, questa speciale forza, questa speciale forma della potenza umana, che le ha permesso di reggere in scena il confronto con Medea. Una potenza concentrata tutta nella creatura di Eduardo, ora e per sempre un punto fermo, che resisterà a qualunque persona il drammaturgo di turno vorrà imporle di essere. A Lalla Esposito è toccato per sua e nostra volontà e per la fortuna di tutti, crediamo, di stare in questa stagione quattro volte con Viviani, il quale forse chissà sarà la nostra prossima “intercettazione” grazie magari anche a Lalla e ai musicisti che l’hanno accompagnata in questo viaggio”.




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