“Vi scuoterò con un elettroshock”. Il neodirettore Franco Dragone: ecco il mio Napoli Teatro Festival Italia
di Anita Curci
“Sono
nato a Cairano, in provincia di Avellino. Mio padre era minatore. Seguire la
famiglia in Belgio, ancora molto piccolo, non è stata ovviamente una mia
scelta, ma ne ho tratto forza, spunto. A dieci anni sentivo di appartenere a
due orizzonti, da cui ho intrapreso il mio cammino di ricerca attraverso il
teatro. Cominciai con quello politico, militante, in una regione del Belgio
dove si ritrovavano migliaia di immigrati italiani, come i miei genitori. Come
me. Nulla cambia, si potrebbe dire. Sempre dal Sud risalgono i più poveri alla
ricerca di una Eldorado illusoria, o almeno di una terra più ospitale”. Per
Franco Dragone, artista di fama internazionale, ex regista del Cirque du
Soleil, diventare direttore del Napoli Teatro festival Italia è come riannodare
i fili di una vita e di un’arte. Come un
cerchio che si chiude. Ecco perché la sua nomina assume un’importanza particolare.
Dragone, che cosa significa
per lei tornare a casa per dirigere il Teatro Festival?
“Anche
lontano dal mio Paese, ho sempre cercato di ricondurre il mio lavoro sui quei
passi fatti da bambino, tra la mia gente, tornando spesso tra i miei luoghi. Oggi,
dirigere questa rassegna mi investe di una profonda responsabilità: nei
confronti di ciò che essa è stata e ha fatto finora; dei rapporti instaurati
con le diverse realtà che rappresenta; delle possibilità creative e di sviluppo
che si impegna a promuovere. Ho accettato questa sfida per restituire sogni e
visioni a una terra carica di eredità e cultura, troppo spesso abbandonati,
demonizzati, sottovalutati”.
Di che cosa ha bisogno il
festival per raggiungere il livello delle maggiori rassegne mondiali di teatro?
“Fin
dall'antichità, la culla in cui Napoli si pone, il Mediterraneo, è stato uno
spazio di circolazione, scambio, incontro, incroci. É stato una grande patria,
una cultura, un continente che ha determinato la storia dell’Occidente. Ancora
oggi esso resta, nel bene e nel male, il centro delle relazioni fra Nord e Sud.
Sul Mediterraneo c’è Napoli e il suo festival che, quindi, ha un ruolo
essenziale nell'espressione artistica di quest’area. Ecco perché il mio intento
è quello di rinforzare l'immagine e la collocazione della città sull'intera
mappa del pianeta, e di far risplendere i suoi artisti in ambito
internazionale. Questo festival dovrà essere unico, come unica è Napoli, come
lo è la Campania”.
Come si esprimerà questo
proposito sulla scena?
“Un
festival che si svolga su questa terra dovrà riappropriarsi ciò che fonda il
teatro: l'insolenza, l'impertinenza, la dissidenza. Se il palcoscenico è il
luogo delle rotture, il sipario che si leva dovrà essere come uno sguardo che
si apre sulla realtà, quella più incisiva e spesso dolorosa, che quasi sempre
si tenta di nascondere. Il teatro deve denunciare, essere nelle cose, creare
coscienza e pensiero, anche quando non è esplicitamente politico. Questa
rassegna dovrà, quindi, essere teatro all'ennesima potenza. In una città, in
una regione e in un Paese che sembrano essere in uno stato di crisi permanente,
il Teatro Festival dovrà essere un elettroshock. Al di là del suo potere di
denuncia, dovrà manifestare forze vive e creatrici capaci, a dispetto delle
difficoltà, di svilupparsi e dialogare tra loro e con il mondo”.
Quali saranno le sue linee
guida?
“Proporremo
anzitutto una programmazione aperta a un grande pubblico, con spettacoli di alto livello ma accessibili a
tutti, generosi, autentici, che parlino di oggi alla gente di oggi. Il nostro
terreno privilegiato sarà quello di Napoli, della Campania e delle sue cinque
province. Il festival dovrà essere il luogo di un progetto narrativo collettivo
che permetta loro di incontrarsi, con le loro specificità, e di scoprire quelle
degli altri. Creeremo legami stretti e durevoli con la città, la Regione e
l'intero Paese. Ma affiancheremo all'accoglienza e alla creatività un progetto
di formazione per i nostri giovani artisti e tecnici, offrendo loro possibili
sbocchi professionali. Tesseremo collaborazioni con altri festival e teatri
internazionali, per uno scambio di artisti e opere. Il festival diventerà il cuore battente di
Napoli, il punto di incontro di processi artistici forti e originali, uno
spazio di creazione, avventure, dibattiti, confronti, luogo di scambio e di
scoperta, una finestra aperta sul mondo”.
Chi sostituirà Luca De
Filippo, che lei aveva individuato come interlocutore per i rapporti con il
teatro e la tradizione napoletani?
“La sua
scomparsa lascia un vuoto enorme. Avevo solo cominciato a dialogare con lui. Lo
ricorderò nella rassegna”.
Può accennare ai luoghi
scelti per gli spettacoli?
“Saranno
spazi di grande interesse e di potente carica suggestiva, come piazza
Plebiscito a Napoli, in cui si svolgerà quello inaugurale; ma penso a luoghi
significativi presenti in tutte le province della regione, oltre, ovviamente, a
teatri e spazi napoletani. Coinvolgeremo piccoli e medi centri della Campania,
cercando di valorizzare spazi dismessi, paesi in spopolamento, dove proporremo
progetti in forte sinergia con gli abitanti, per partecipare insieme ad una
grande fucina produttiva e creativa. Questo sarà un festival non soltanto per
la Campania, ma della Campania.
Cosa le è piaciuto di più
girando per la città e cosa non le è piaciuto.
“Il
mio lavoro mi ha insegnato ad amare tutto: il bene, il male, il bello e il
brutto. A Napoli il confine tra gli opposti è labile, quasi non esiste. Napoli
è la città in cui “sì” si dice “come no?!”. Tutto sembra risolvere la propria
dualità e il proprio estremismo nella contraddizione. Io mi reputo un uomo di
eccessi e Napoli è l’eccesso! Perciò, non potrei non amarla”.
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