Al Teatro Mercadante di Napoli nell’ambito del Napoli Teatro
Festival Italia, 19 e 20 giugno 2016
Luca De Fusco celebra il quattrocentesimo anniversario della
morte di William Shakespeare rappresentando “Macbeth”, uno dei testi più
visionari del Cigno di Avon
Servizio
di Anita Curci
Napoli - Shakespeare, attraverso le sue opere, pare riesca a
occuparsi di tutte le passioni legate alla natura dell’uomo. Egli scende puntualmente
e con sconcertante ostinazione nell’abisso dell’animo umano per grattarne il
fondo e poter tirar fuori la più autentica varietà di quelle passioni.
Nel Macbeth, rappresentato al Mercadante il 19 e il 20 giugno nell’ambito del Napoli Teatro
Festival Italia diretto da Franco Dragone, a prevalere sono l’ambizione, la
paura, il delirio, la follia, il male nel suo significato più intenso.
La parte iniziale con le streghe danzatrici dietro un filare
di sottilissimi specchi - le “tripoline” - sul quale vengono mirabilmente
proiettate immagini di scena, mostra subito l’immenso impianto registico messo
in campo dal direttore del Teatro nazionale di Napoli, Luca De Fusco. Il
regista, in questo allestimento, ripete e, in molti versi rinnova, quella che è
ormai la sua impronta artistica incentrata sulla commistione di elementi
teatrali e cinematografici, o meglio, video-sonori, e di danza, già
sperimentati in Antigone, Antonio e Cleopatra e nell’ambizioso progetto
realizzato nella scorsa stagione, tra l’altro riuscitissimo, dell’Orestea.
Lo scorrere rapido dei momenti narrativi del dramma shakespeariano,
scritto nei primi anni del 1600 e concepito con ritmi congeniali al pubblico di
quell’epoca, attraverso i meccanismi di regia elaborati da De Fusco - che pure
lascia invariato il linguaggio del Cigno di Avon - rende l’operazione scenica
ariosa, moderna, a tratti avanguardistica. Non futuristica come per Orestea. Piuttosto surreale, come può
esserlo un’opera del nostro tempo che si svela mentre si avvicendano le azioni
e gli umori dei coniugi Macbeth e di tutta la
fauna umana che gli orbita intorno.
L’invenzione di più piani scenografici organizzati sulla
profondità del palcoscenico, ha offerto allo spettacolo un interessante valore
creativo al momento del cambio delle
scene dove tutto si fa movimento, proponendo di Macbeth una forma
più consona alle capacità fruitive dello spettatore contemporaneo. L’andirivieni di immagini proiettate sui vari
livelli delle sopracitate “tripoline” (attraversabili dagli attori, tra
l’altro, in qualunque momento) - come la civetta in volo, la foresta, alcuni
ambienti interni, Ecate, gli otto re, il fantasma di Banquo - e lo stesso uso
dello specchio centrale in fondo al palco dove si riflettono i personaggi ma
anche i loro impeti più profondi, rappresentano, insieme al resto, i chiari
segni di un teatro che continua a mutare e a evolversi senza offendere.
Senza offendere, poiché le intenzioni originarie del Bardo
restano intatte.
Intatto è il carattere tracciato da Shakespeare dei
personaggi e in particolare del generale al servizio del re di Scozia Duncan,
il Macbeth impersonato da Luca Lazzareschi che egli stesso definisce stupido
come Otello e Lear, non intelligente come Amleto o cattivo come Argo.
Il generale - compagno di ventura del giusto e fedele Banquo
anch’egli agli ordini del re e come il re assassinato per ambizione verso il potere
- è governato dal male, sotto le influenze nefaste della moglie, lady Macbeth
(Gaia Aprea), a sua volta influenzata dalle predizioni delle streghe che il marito incontra nella foresta.
La donna, senza esitazione è invocatrice degli spiriti
maligni, in una stanza da letto scatola, parte fissa della scenografia eppure
sempre cangiante. Alcova e camera degli orrori, contenitore dell’inconscio.
Lady Macbeth, nella delirante brama di dominio, tutto imbastisce
e, alla fine, tutto smantella, turbata dalle occulte apparizioni di cui è
vittima il suo sposo, ma anche ossessionata da un sonnambulismo visionario e pazzo
che la conduce al suicidio. La coscienza non ce la fa a sopravvivere al peso dei
troppi delitti commessi in nome dell’ambizione.
L’abisso freme, ribolle, vomita i suoi fantasmi in maniera
inquietante, onirica, metafisica. Mani sporche di sangue non si lavano col
sapone.
E siccome Lady Macbeth, come suggerito da Freud, è un tutt’uno
col marito (“sono quasi la stessa persona che muta stato d’animo all’interno
del testo”, chiarisce De Fusco), anche lui perisce e lo fa sotto la spada di
Macduff (Claudio Di Palma).
Tormento, azione, angoscia, follia, paura, delirio, che nella
messa in scena sono palpito costante della cosa teatrale, vengono esaltati
dalle suggestive scelte musicali di Ran Bagno.
Sul palcoscenico, con gli altri attori della compagnia dello Stabile,
Giacinto Palmarini, Fabio Cocifoglia, Paolo Serra, Paolo Cresta, Enzo Turrin,
Francesca De Nicolais, Federica Sandrini, Alfonso Postiglione. Angela Pagano
come voce fuori campo. Scene di Marta Crisolini Malatesta, i costumi di Zaira
de Vincentiis, le luci di Gigi Saccomandi, le installazioni video di Alessandro
Papa e le coreografie di Noa Wertheim. Le danzatrici del corpo di ballo della
compagnia napoletana Korper.
Traduzione Gianni Garrera.
Durata 2 ore 20 minuti con intervallo.
Da una produzione del Teatro Stabile di Napoli, Teatro
Stabile di Catania, Fondazione Campania dei Festival, Napoli Teatro Festival
Italia.
Lo spettacolo sarà riproposto dal 26 ottobre al 13 novembre sempre
al teatro Mercadante nella stagione 2016-2017.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Commenti
Posta un commento