"Il mio Shakespeare visionario"; De Fusco al Mercadante, lo Stabile e il problema dei contributi

di Anita Curci

Luca De Fusco porta in scena al Mercadante dal 26 ottobre al 13 novembre la visionarietà di Macbeth, la sua dimensione mistica, gli spettri presenti nelle vite dei personaggi obbligati a procedere nella direzione che il fato ha loro riservato. “Da questo punto di vista, i coniugi Macbeth sono quasi eroi greci, con una capacità di libero arbitrio contenuta. Questa è un’opera fuori dal realismo, e chi la racconta come una pura lotta di potere dimentica l’elemento surreale presente in tutto il testo” spiega il regista, direttore artistico del Teatro Nazionale di Napoli, che produce l’allestimento con lo Stabile di Catania e il Napoli Teatro Festival, dove ha debuttato a giugno scorso. Anche stavolta il regista ha coinvolto per le musiche l’israeliano Ran Bagno e per le coreografie Noa Wertheim, entrambi di Vertigo Dance.
De Fusco, perché ancora Shakespeare e questo titolo in particolare?
“Macbeth si collega ad Antonio e Cleopatra, interpretato dagli stessi attori, Luca Lazzareschi e Gaia Aprea. In entrambe le opere emergono due coppie accomunate dalla passione per il potere. Antonio e Cleopatra si centra sulla monumentalità dei personaggi, consapevoli di passare alla storia nel momento in cui pronunciano le loro battute. In Macbeth, invece, tutto si basa sulla visionarietà, con la presenza delle streghe, con l’apparizione notturna del coltello a Macbeth, la visione del fantasma di Banquo e il sonnambulismo della Lady. L’atmosfera irreale lo rende adatto allo stile teatrale-cinematografico usato nei miei ultimi allestimenti”.
Come ha organizzato, stavolta, la messa in scena?
“Più che basarmi sui primi piani come in passato, tendo a mostrare meglio ciò che nel testo è solo riflesso. Un esempio è la lettera letta da Lady Macbeth davanti a uno specchio in cui si vede un bambino che, in realtà, non appare nell’opera”.
Che differenza c’è tra il realizzare una tragedia greca e un dramma di Shakespeare?
“La prima prevede un impegno per il regista enorme in termini quantitativi; si ha a che fare con un imponente materiale drammaturgico che assieme all’alternanza di parola, canto e danza avvicinano il lavoro a quello di un regista lirico. In Shakespeare si gioca più sulle sfumature”.
Progetti?
“Uno, emozionante. Metterò in scena al Teatro Alexandrinsky di San Pietroburgo Sei personaggi in cerca d’autore con attori russi. Si creerà una mescolanza di culture molto interessante”.
Resterà fedele ai suoi metodi di regia?
“Non ai video, perché questo Pirandello è meta-teatrale, e trovo giusto lasciarlo in quella logica. Un altro impegno internazionale ci porterà, dal 7 al 9 ottobre, al Teatro Lliure di Barcellona con Orestea”.
Un bilancio dopo il primo anno del Teatro Nazionale.
“Positivo, e con un pubblico più numeroso. La stagione conclusa a maggio è stata quella con più abbonati e presenze nella storia dello Stabile. Stiamo reggendo il livello frenetico di produzioni cui siamo costretti dal Ministero. Il punto dolente restano i contributi, con anni di ritardo da parte dei nostri soci. E questo non è compatibile con le regole ministeriali e non lo è con la prassi del teatro europeo. Non tanto il ‘quanto’, ma il ‘quando’ deve decisamente cambiare. Così non è possibile gestire un Teatro Nazionale”.
Spieghi meglio.
“Comune e Regione sono fermi al 2014, l’ex Provincia al 2012. In Veneto o in Emilia Romagna i pagamenti sono regolati entro la chiusura dell’anno”.

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