Di
Stefano Prestisimone
È
passato da Shakespeare a Petito, dalla tragedia greca alla
sceneggiata, da Goldoni a Beckett, fino ad Achille Campanile. Antonio
Calenda, regista italiano tra i più navigati e talentuosi, campano
di Buonabitacolo, festeggia i 50 anni di una straordinaria carriera
sempre a cavallo tra i generi, con un eclettismo e una duttilità
rara. E lo fa portando in scena dal 4 al 15 gennaio uno dei
capolavori di Pirandello, Il
piacere dell’onestà, poco
frequentato rispetto ad altri lavori ma illuminante e spietato come
solo gli scritti dell’immenso girgentino sanno essere, il Nobel
siciliano di cui nel 2017 si festeggiano i 150 anni dalla nascita.
Appuntamento al Mercadante, che ospiterà a dicembre (dal 13 al 18),
un altro Pirandello, Il giuoco
delle parti, con Umberto
Orsini protagonista e la regia di Roberto Valerio.
Scritto
nel 1917 e ispirato alla novella Tirocinio,
è la storia di Angelo Baldovino, uomo dalla moralità accomodante,
che accetta per denaro di sposare Agata, l’amante incinta del
marchese Fabio Colli, il quale non può sposarla perché già
ammogliato. Un matrimonio di facciata. Ma le cose prendono una piega
inaspettata. Angelo, che per la prima volta si sente investito d’una
missione che lo riabiliterà di fronte agli altri e ai suoi stessi
occhi, aiuterà la ragazza lasciata sola, darà il suo nome al
nascituro e sarà utile anche allo stesso marchese Fabio, vittima
d’una moglie che lo tradisce: si batterà per l’onestà
rigorosamente, per riscattare finalmente la sua vita con un ideale da
seguire. Ma così manda all’aria i progetti di Fabio che, non
trovando più accoglienza da parte di Agata, ormai impegnata soltanto
ad essere una buona moglie e una buona madre, proverà a sbarazzarsi
del “traditore”.
Calenda,
con Pirandello cadono le maschere e si palesano sempre i veri volti
delle persone?
“Lui
è uno che denuda l’uomo, che rende palpabili le sue nefandezze. La
corruzione che oggi dilaga, ed è il vero cancro del nostro tempo, è
al centro anche di questo suo lavoro, scritto esattamente cento anni
fa. Un‘opera di una attualità mostruosa e che quasi spaventa. In
questi nostri tempi c’è chi si arricchisce illegalmente mentre le
persone oneste soffrono. Nel percorso del Piacere
dell’onestà notiamo una
razionalità convulsa fatta da ragionamenti estremi, con un concetto
dell’onestà che viene spinto alle estreme conseguenze. Lo porto in
scena con gran soddisfazione personale, perché mi incanta nella sua
nettezza. E un titolo così oggi è come uno squillo di tromba per
svegliare le coscienze”.
Che
ha studiato per la sua messa in scena?
“Sarà
estremamente stilizzata, asciutta, con pochi elementi scenici perché
tutto è basato sui volti e sulle interpretazioni. Non ci sono
accenti naturalistici. Ma ci sono attori straordinari come Pippo
Pattavina, che è uno dei massimi interpreti italiani e meriterebbe
un’attenzione maggiore”.
Come
è nata la sua passione per il teatro?
“Quest’anno
festeggio 50 anni di palcoscenico e 152 spettacoli da me diretti.
Numeri abbastanza impegnativi. La mia passione comunque è nata in
una cantina. In uno strano ma affascinante luogo dove insieme a
Virginio Gazzolo, Gigi Proietti, Leo De Berardinis e Piera Degli
Esposti, nel 1965 fondai il Teatro Centouno che divenne subito uno
dei luoghi più importanti del teatro sperimentale italiano. Fu lì
che ci venne a vedere Paolo Grassi, uno dei massimi uomini di teatro
italiano di tutti i tempi, che con la sua modestia andavo in giro a
scovare talenti. Ci portò al Piccolo di Milano, da Strehler, ed è
lì che tutto è cominciato”.
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