Miseria e nobiltà: Cirillo rilegge Scarpetta in chiave contemporanea

Di Pino Cotarelli

Una lettura innovativa quella che Arturo Cirillo, non nuovo alla rivisitazione di testi classici, dà di Miseria e nobiltà (prodotto dallo Stabile napoletano), il testo che Eduardo Scarpetta scrisse nel 1887, in programma al Teatro San Ferdinando di Napoli dal 21 dicembre all'8 gennaio. Il regista, dopo il recente successo del suo Liolà di Pirandello, nonostante le difficoltà del testo originale e i facili raffronti con la versione cinematografica di Totò, e quella televisiva di Eduardo De Filippo, annuncia interessanti nuove.
Cirillo, il confronto con Eduardo e Totò non è troppo ingombrante?
“Il confronto, soprattutto con Totò non lo faccio. Ho visto il film tanti anni fa e non l’ho voluto rivedere. L’edizione televisiva, anche quella molto famosa, di Eduardo, l’ho vista ma la ricordo poco”.
Potrà esserne influenzato o ispirato?
“Certo, quella di Eduardo è più teatrale. Ma la mia ispirazione sarà principalmente quella testuale, in quanto rispetteremo i termini e le parole di Scarpetta che sono a volte un po’ incomprensibili, un po’ desuete. È stato sempre il mio pallino rispetto a questo autore. Quando nel 2002 portai in scena Mettiteve a ffa’ l’ammore cu me, il mio primo Scarpetta, scoprii che questa lingua un po’ astrusa mi piaceva. Il mio è un approccio da napoletano piuttosto spurio, o un po’ astratto come a volte mi hanno definito, ho cominciato a parlare questa lingua grazie al teatro”.
Quali caratteristiche ha cercato nell’assegnare i ruoli agli attori?
“La mia è una compagnia abbastanza eterogenea. Ha origini molto strane perché io sono un napoletano a metà (citando Pino Daniele), Milvia Marigliano è di origine ischitana ma il suo percorso artistico è stato tutto milanese, Sabrina Scuccimarra è abruzzese e vive a Roma. Poi c’è Tonino Taiuti, napoletano come Giovanni Ludeno e Rosario Giglio. È quindi un modo anche per mettere dentro alla lettura di questo testo uno sguardo non così fortemente napoletano e tradizionalmente teatrale, così come si usa in genere fare con questa commedia”.
Tragedia della povertà e grottesco della nobiltà, un conflitto ancora attuale?
“Siamo ancora nelle prove, dovrei anticipare, e mi vengono i brividi… Diciamo che quello che sto percependo adesso è una sostanziale uniformità rispetto al piano dei “miserevoli”. La miseria, le classi indigenti, ci sono sempre state, e i problemi sono sempre i medesimi, allora come oggi. Questo verrà evidenziato principalmente dagli effetti scenici del primo atto, rispetto agli altri due. E anche dai costumi, per i quali, specie per i poveracci, penso a dei riferimenti che richiamino anche il nostro tempo. I cosiddetti “nobili”, poi, esprimeranno una loro particolare idea di nobiltà. In fondo lo stesso Semmolone, che interpreto, è un ex cuoco. Devo dire però che in questa mia edizione Semmolone non sarà neanche poi tanto cuoco, ma l’elemento del cucinare sarà molto presente”.
Finale canonico con richiesta al pubblico del consenso?
“No, io ho una cosa in mente, dato che il primo atto è molto diverso dagli altri due, mi piacerebbe che queste due famiglie ritornassero nel loro miserevole quartierino dove abitano, come se tutto fosse stato un po’ un sogno. Questa cosa la dico, ma la devo ancora provare, non vorrei ancora scoprirmi, per adesso è solo un’idea”.


©RIPRODUZIONE RISERVATA



Commenti