Di Stefano
Prestisimone
Lui,
il grande Anton Cechov, il figlio del droghiere violento, il gigante
della letteratura vissuto tra gli stenti di Taganrog, cittadina
a pochi chilometri dal Don, definiva quei suoi atti unici,
“volgarucci e noiosetti”. Salvo poi osservarne, stranito, il
clamoroso successo in teatro. Opere comiche con elementi da
vaudeville che segnano il passaggio di Cechov dalla narrativa al
teatro e che contengono elementi dei suoi drammi più maturi. Anche
da quelli più caricaturali, infatti, traspare quel senso amaro della
vita che si svilupperà nei suoi capolavori. Da tre di quegli atti
unici, L’orso,
I
danni del tabacco
e La
domanda di matrimonio,
ma anche dalla lettere e dai racconti del genio russo, è tratto
Svenimenti,
spettacolo prodotto dal Centro Teatrale Bresciano, e progettato,
elaborato, diretto e scritto da Elena Bucci e Marco Sgrosso, con gli
stessi autori protagonisti in scena sul palco del teatro Nuovo dal 7
all’11 dicembre assieme a Gaetano Colella.
“Svenimenti
è un viaggio nel laboratorio di Cechov, nelle sue riflessioni, nei
racconti, nelle lettere, nella sua drammaturgia e nel suo rapporto
con il teatro e con il mondo. Le parole della moglie Olga, che si
muove in scena con una candela immaginando di volerlo ritrovare nel
suo studio dopo la morte, sono diventate a poco a poco una guida,
come del resto tutte quelle di coloro che lo hanno conosciuto e
incontrato. Ci addentriamo nel suo mondo creativo cercando di portare
in scena anche alcune parti del lavoro di scrittura e di teatro che
di solito restano nascoste. Costruiamo lo spettacolo come se fosse un
film, blocchiamo a tratti i vertiginosi dialoghi di quelle bolle di
puro teatro che sono gli Atti Unici per osservare i personaggi,
immobilizzati come in una fotografia, e interrogarli, per evocare
Cechov nella sua solitudine della villa di Yalta o chiuso in sé dopo
il primo infelice debutto del Gabbiano,
quando giurò che non avrebbe mai più scritto per il teatro”
spiega Elena Bucci.
I
tre atti unici sono piccole gemme con protagonisti i suoi antieroi e
le loro malinconiche solitudini. “Dal nostro trio di attori
emergono di volta in volta i personaggi dei racconti e intravediamo
la stessa Olga e in controluce anche Cechov – prosegue Sgrosso -.
Si tenta di affacciarsi alle opere maggiori per poi ritrarsi
spaventati dal futuro che comprendeva anche la morte dello scrittore.
In un gioco di identità, tra personaggi, persone veramente esistite,
fantasie, possibilità, ci muoviamo accanto e intorno al segreto
della scrittura e del teatro, scivolando avanti e indietro nel tempo,
come se il palcoscenico ci desse la facoltà di attraversare la zona
sconosciuta tra vita e morte”.
Ingegnoso
anche l’allestimento: “Sono importantissimi i cambi di costume
quasi a vista, le tre pedane che alludono a diversi palcoscenici,
quasi palchetti da commedia dell’arte, e i bianchi siparietti che
nascondendo rivelano, creando spazi ed evocandone altri – conclude
Elena Bucci -. La loro trasparenza permette di trasformarci in ‘quasi
fantasmi’, attori sospesi tra vita e scena. Il loro agile movimento
crea stanze, addobbi, baldacchini, muri bianchi. Luce e suono sono
attori con noi e ci aiutano ad amplificare le suggestioni fino a
rendere sensibilmente emotivi e concreti i passaggi da una zona
all’altra di questa composita e variegata scrittura scenica, che il
pubblico accoglie con abbandono”.
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