"Cervante, il mio prof rivoluzionario"

CIRCUS DON CHISCIOTTE La nuova pièce di Cappuccio su un vagabondo in lotta contro una società troppo disumana

di Stefano Prestisimone

Michele Cervante è un intellettuale decaduto, un vagabondo colto che vive ai margini della società, fra peregrinazioni notturne e visioni apocalittiche. Si ritiene un diretto discendente di Miguel Cervantes, l'autore/creatore del Don Chisciotte della Mancia e si batte contro la disumanizzazione della società, una lotta personalissima che ricorda quella del Don Chisciotte contro i mulini a vento. Ruggiero Cappuccio, dopo il magnifico Spaccanapoli times, uno degli spettacoli più belli e innovativi della scorsa stagione teatrale in cui si misurava anche come attore sul palcoscenico, torna a scrivere e a recitare per lo Stabile in Circus Don Chisciotte, dal 23 marzo al 2 aprile al San Ferdinando. Sempre con accanto il fido Giovanni Esposito, attore e caratterista tra i primissimi a livello nazionale.
Cappuccio, questa versione ambientata ai giorni nostri segue quella che lei scrisse nel 2011 affidando la regia a Nadia Baldi, con Roberto Herlitzka e Lello Arena protagonisti. E' una riedizione della precedente o si tratta di un lavoro ex novo?
"Quella era una prima versione, con la quale ci sono ovviamente punti di contatto. Ma si può dire che in realtà si tratta di un altro spettacolo. I personaggi all'epoca erano 2, oggi sono 6, con sviluppi della storia differenti. Resta l'anima visionaria del personaggio principale, Michele Cervante, che io interpreto e che pure assume delle sfumature differenti. E' un ex professore in disgrazia, che vive fuori dai confini della società civile, un vagabondo visionario convinto di essere discendente di Cervantes, perché l'autore celeberrimo visse davvero a Napoli nel 1575 e dunque il suo cognome tradisce la consanguineità".
Accanto a lei c'è Salvo Panza, alias il Sancho Panza dell'opera leggendaria?
"Il professor Cervante attiva una lotta personalissima contro il processo di disumanizzazione che sta attanagliando il mondo. In una delle sue peregrinazioni notturne si imbatte in un ex infermiere precario, un girovago nullatenente anche lui fuoriuscito dalla sfera della società civile. E' Cervante a conferirgli questa nuova identità, ribattezzandolo Salvo Panza. Tra i due nasce un'amicizia fulminante che darà vita a un corto circuito tra realismo e visionarietà, sogno e saggezza materica, mentre inizia il loro viaggio alla ricerca dei nemici dell'essenza spirituale dell'umanità. Ma è un Sancho Panza lontano dall'immaginario collettivo , da una iconografia discutibile. Ci sono stereotipi di cui non ci liberiamo più. Il mio Salvo non è un ciccione ma un uomo normalissimo, anzi tendente al magro".
Dove è ambientato il lavoro?
"Sull'unico binario in disuso di una stazione ferroviaria. Un binario morto che diventa la lor casa, dove non esistono più passato, presente e futuro. Cervante ritiene di aver già incontrato Salvo Panza nel 1575, quindi si parla di visioni ma anche di fisica quantistica. Su questo binario appaiono altre figure, un uomo e una donna, due poveri disgraziati che avevano un ristorante fallito e che si portano dietro un gran quantitativo di pentole e suppellettili e che si mettono a cucinare per loro. Poi si aggiungono altri personaggi, tra cui un duca triestino che racconta la sua storia".
Come in altri suoi spettacoli, e come nel film Il sorriso dell'ultima notte, lei mette al centro l'immaginazione, il sogno.
"Si parla di menti visionarie, di intelligenze strambe ma acutissime. Una comunità fragile e affascinante. Il teatro per me è una psicoanalisi all'inverso, l'autore scrive il suo testo/sogno, si rivolge agli attori, che a loro volta si rivolgono al pubblico cui viene chiesto di incarnare quel sogno. E' un triplo passaggio che rende speciale questo trasferimento di sogni e storie".
Il suo impegno neo direttore del Napoli Teatro Festival?
"Molto intenso. Il mio primo intervento è di natura etica, più che artistica. Vanno bene gli ospiti ma il festival non deve diventare un aeroporto dove atterrano troppi aerei altrui. Qui c'è una 'selvaticheria' artistica e culturale davvero straordinaria, che va messa in evidenza, una categoria espressiva non codificata che usa sistemi che non esistono. Il miracolo della Gatta Cenerentola, arriva proprio da qui, da quest'humus unico. E che io voglio riportare al centro".

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