Scende in campo l’impegno civile. Due pièce tra scuole e laboratori
Di Roberto D’Avascio
La
primavera inizia, in questi ultimi anni in Campania, con una serie di
eventi artistici e manifestazioni culturali che spingono con grande
forza la nostra società a riflettere ancora e meglio sul concetto di
“legalità”. Anche il teatro napoletano partecipa a questi
fermenti sociali che attraversano le piazze come le scuole, per
affidarsi a rappresentazioni in cui raccontare storie di memoria e di
impegno, di denuncia e di riscatto. A tal proposito, Giulia Minoli è
a Napoli per portare in scena due suoi spettacoli - scritti con
Emanuela Giordano che ne ha curato anche la regia - che partono dal
tema della legalità per parlare a tutto tondo della società
contemporanea. Si parte con Aspettando il
tempo che passa, prodotto da NEST Napoli Est
Teatro, per le matinée del 6 e 7 aprile al Nuovo di Napoli, e con
Dieci storie proprio così,
prodotto da una collaborazione tra Piccolo Teatro di Milano, Teatro
di Roma, Teatro Mercadante di Napoli, Teatro Stabile di Torino con
CO2 Crisis Opportunity Onlus, che sarà al San Ferdinando di Napoli
dal 27 al 30 aprile.
Giulia
Minoli, partiamo da quest’ultimo spettacolo. Ce ne può descrivere
la genesi?
“Dieci
storie proprio così nasce da un progetto del
2011, nel periodo in cui lavoravo al Teatro San Carlo di Napoli,
occupandomi dei programma educational e della stagione per le scuole.
Non era mai stato fatto un piano di drammaturgia contemporanea
rivolto ai ragazzi del liceo che parlasse di temi forti come,
appunto, la legalità. All’epoca ho pensato che fosse fondamentale
per l’istituzione culturale e teatrale più importante della
Campania affrontare queste tematiche con le scuole e i giovani”.
Con
chi è partito questo progetto?
“Innanzitutto
con Paolo Siani, presidente della Fondazione Polis, che ci ha guidato
nello ricerca e nello studio delle prime tre storie raccontate dallo
spettacolo, legate ai familiari di vittime innocenti di camorra, da
quelle più conosciute a quelle meno note. Siamo partiti dalla
memoria, per poi arrivare a narrazioni che mettessero al centro il
riscatto. La prima versione dello spettacolo nasce in Campania in
quel periodo, con al centro vicende di memoria e impegno”.
Chi
ha coinvolto per la drammaturgia?
“Mi
sono rivolta ad Emanuela Giordano, regista molto impegnata sul
versante del teatro civile, che poteva avere la giusta esperienza per
portare avanti questo tipo di lavoro. Abbiamo cominciato a lavorare
insieme incontrando tutti i protagonisti della prima versione di
Dieci storie proprio così
del 2011”.
Come
si arriva alla versione dello spettacolo che porterete al San
Ferdinando?
“Innanzitutto
con un grande lavoro di laboratori che stiamo svolgendo in questi
giorni nelle scuole di Napoli. E con nuove vicende. Dalla Campania il
progetto è partito e si è evoluto, allargando le collaborazioni in
Sicilia. Abbiamo, per esempio, inserito la storia di Addio Pizzo, un
movimento fatto di commercianti e consumatori che nasce a Palermo
nella lotta contro il racket, o delle cooperative sociali che si sono
occupate nel tempo della gestione e riqualificazione dei beni
confiscati alla mafia: il racconto di quello che si può fare
quotidianamente, attraverso piccole azioni, per combattere il mondo
della criminalità”.
Un
discorso che poi si è allargato a tutto il territorio nazionale?
“Sì,
in particolare è stato fondamentale l’incontro con Nando Dalla
Chiesa, figlio del noto generale e docente di Sociologia della
criminalità organizzata presso l’Università di Milano, che ci ha
molto aiutato a capire i meccanismi e a fornirci materiali sulla
forte presenza della ‘Ndrangeta nell’Italia settentrionale. La
novità dello spettacolo che proponiamo quest’anno è costituta
dall’inserimento di storie relative alla presenza della ‘Ndrangeta
a Milano e quelle di resistenza in Calabria, come del gruppo
cooperativo GOEL, che gestisce e aggrega produttori agroalimentari
vittime di aggressioni mafiose. Sempre per accompagnare il riscatto e
la speranza alle ferite terribili della criminalità organizzata, che
ormai sono diffuse sull’intero territori
o nazionale”.
Aspettando
il tempo che passa è legato al primo?
“Sì, essendo è il risultato di un laboratorio
realizzato dai giovani detenuti del carcere minorile di Airola. La
drammaturgia è di Emanuela Giordano, ma Il testo è costruito
proprio con le parole dei ragazzi detenuti: è il loro “flusso di
coscienza”. Accende i riflettori sul tema dell’infanzia negata.
In scena Giuseppe
Gaudino, Valentina
Minzoni, Adriano
Pantaleo e Salvatore
Presutto raccontano
il tempo che in carcere passa diversamente, sospeso tra incertezze
sul futuro e percezione di un presente che resta in attesa di essere
vissuto pienamente, liberamente”.
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