Al Teatro
Politeama di Napoli dal 26 aprile al 7 maggio
Servizio di Antonio
Tedesco
Napoli
– Succede che dietro la forza, la potenza della Storia, che distrugge e
rigenera, si nasconda l'umanità più disarmata. Dubbi, debolezze, disillusioni.
Il “fattore umano” dietro un Grande Evento. Dietro una delle svolte decisive
della Storia Moderna della Civiltà Occidentale. E' su questo che si concentra
essenzialmente il testo di Georg Büchner, Morte di Danton, scritto
nel 1835 e mai rappresentato fino agli inizi del Novecento, e in scena, ora,
prodotto dallo Stabile di Torino per la regia di Mario Martone, al Teatro
Politeama fino al 7 maggio per la Stagione del Teatro Mercadante. Lavoro
drammaturgico incentrato sull'estrema vulnerabilità della natura umana che
emerge in maniera ancor più esplicita ed evidente nel confronto con i grandi
avvenimenti della Storia. Uomini smarriti in questo incontrollabile turbinio di
fatti, che indossano, per mostrarsi all'altezza di tale confronto, l'armatura
dei saldi e altisonanti principi ideologici e morali. Che però, alla fine, non
risultano sufficienti a difenderli, non solo dai flussi impetuosi di quella
Storia, ma neanche da se stessi. A tali principi si contrappongono poi le
istanze di un popolo che oppone un gretto giustizialismo quale rivalsa alle
vessazioni subite per secoli.
Ma
è su quegli uomini che si ergono a guide di tali e radicali cambiamenti, che si
assumono la responsabilità delle grandi decisioni, che si trasformano in
maniera più o meno consapevole in simboli, che si stringe l'obiettivo di Büchner,
senza perdere di vista, però, l'ampio e frastagliato contesto che li circonda.
Robespierre e Danton non rappresentano solo due figure simbolo della
Rivoluzione Francese, ma due visioni del mondo. Due modi di vedere opposti e
complementari tra i quali non si riuscì a trovare la sintesi, il giusto punto
di incontro. Uno scoglio sul quale l'intero impianto della Rivoluzione rischiò
di naufragare, e sul quale, in parte, naufragò. Ciò che Büchner
evidenzia, e Martone riprende e aggiorna nel contesto coerente del suo recente
lavoro, è che gli uomini proiettano sulla Storia la lunga ombra delle proprie
contraddizioni e dei propri conflitti interiori. E non si dà, e non si può
dare, rivoluzione politica e sociale se non si parte da un'autentica
Rivoluzione Umana, vissuta nell'intimo di ogni singolo individuo. Ciò emerge
ancor più chiaramente in quanto la messa in scena è concepita come una grande
opera corale che contiene e assorbe, ma allo stesso tempo evidenzia in maniera
ancor più definita, il conflitto che dilania i due protagonisti. E' una sorta
di kolossal teatrale quello orchestrato da Martone con 29 attori in scena e le
azioni scandite dal movimento continuo dei sipari (cinque, disposti in
successione sul palcoscenico) che aprono e chiudono le sequenze sceniche come
fossero dissolvenze cinematografiche. Ma che assumono anche una funzione
espressiva, come a rappresentare l'onda della Storia stessa che avvolge o
travolge, a seconda delle circostanze, i suoi protagonisti. Dunque, se
l'argomento dello spettacolo rimanda ad altri recenti lavori di Martone, non
solo teatrali, come Noi credevamo, il film realizzato nel 2010 dove lo sguardo
sul Risorgimento italiano è filtrato, appunto, attraverso il conflitto
interiore che dilania i suoi principali artefici e si riflette nei rapporti tra
essi e nelle azioni che ne scaturiscono, l'impianto scenico (firmato dallo
stesso Martone) richiama alla memoria lo storico allestimento di Rasoi,
che il regista realizzò nel 1991 su testi di Enzo Moscato e che si articolava
proprio su una serie di scene-sequenze “scoperte” da una successione di sipari
che progressivamente venivano aperti.
Oltre
che a queste acute intuizioni registiche che evidenziano al meglio le
componenti di un testo estremamente stratificato e ricco di innumerevoli
sfaccettature, lo spettacolo si avvale del contributo di un cast di attori
veramente ragguardevole, molti dei quali impegnati in più ruoli, e tutti
perfettamente calati nel contesto della messa in scena. Con un ottimo Giuseppe
Battiston, nel ruolo di Danton, e insieme a Paolo Graziosi, Iaia Forte, Ernesto
Mahieux, Roberto de Francesco, Irene Petris, Francesco Di Leva, per citarne
solo alcuni, ci pare doveroso sottolineare la granitica prova di Paolo Pierobon
che infonde al suo Robespierre il rigore, ma anche il dolore, dell'uomo e della
Storia stessa che sembra gravargli sull'anima con tutto il suo insostenibile
peso.
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