Alfredo Arias: "Io, napoletano come Viviani"

Il regista franco-argentino e il rapporto con la cultura di Partenope. Dopo “Circo equestre Sgueglia”, l’affresco su un mondo morente


di Stefano Prestisimone

La sopravvivenza triste di ex dive, stelline ormai spente del mondo dello spettacolo che restano avvinte a un’idea del successo evaporata, svanita. Un microcosmo miserabile eppure affascinante che evoca nostalgia per qualcosa di poetico e impalpabile. Dopo il successo internazionale di Circo equestre Sgueglia, il regista franco­argentino Alfredo Arias, 73enne, poliedrico creatore di un teatro che emoziona, torna allo Stabile di Napoli (produttore) con un nuovo Viviani: Eden Teatro, in scena al San Ferdinando dal 27 febbraio all’11 marzo, con Mariano Rigillo protagonista assieme a Gaia Aprea, Anna Teresa Rossini, Mauro Gioia, Gennaro Di Biase, Gianluca Musiu, Ivano Schiavi, Paolo Serra, Enzo Turrin. Raggiungiamo il regista telefonicamente in Argentina, dove sta preparando un nuovo spettacolo tratto da Jean Genet, Elle che esordirà a Parigi una settimana dopo la prima di Eden Teatro a Napoli.
Arias, cosa l’ha colpita di Viviani? Di cosa si è innamorato per portare in scena prima Circo Equestre Sgueglia e ora Eden teatro?
“Nella mia storia artistica c’è un filo conduttore che mi porta a questo tipo di teatro, un genere di scrittura che mi è familiare, che è nel mio Dna, e che riguarda gli ultimi, i poveracci, i derelitti. C’è una sorta di nostalgia per questo mondo che mi attrae. E dietro questo universo raccontato da Viviani, c’è molto di più di ciò che si vede. Lui va oltre, esplora l’animo umano, racconta le fragilità, le passioni. Dopo le figure meravigliose del mondo circense, il suo obiettivo si dirige sul mondo del musical, altro settore ricco di immenso fascino. Io mi sento vicinissimo alla poetica di Viviani, un modo di guardare la realtà che mi accompagna ogni giorno; che mi fa sentire parte della sua famiglia teatrale; e che mi dà la possibilità di ricostruire un periodo, un tempo, una bellezza del teatro, una maniera di guardare l’umanità molto generosa. Ed è commovente per me poter lavorare sul suo materiale”.
Che tipo di allestimento proporrà e quale il suo senso profondo?
“È un lavoro che ha una materia molto, molto fragile, come una polvere di stelline che si muove nell’aria. Non c’è una drammaturgia, come aveva Circo Equestre, che raccontava un melodramma. Qui c’è solo la sopravvivenza di queste ‘starlette’ del mondo del musical ormai in disarmo e che lottano per avere un posto sul palcoscenico e, in generale, su questa terra. Ho pensato a creare come delle piccole miniature, dei piccoli tabloid, curando ogni dettaglio, ricostruendo le sensazioni. Viviani guardava a questo mondo del musical con nostalgia, perché stava già sparendo nella sua epoca. Per recuperare la parte essenziale di questo spettacolo ho fatto una sintesi minimalista, perché sarebbe impossibile replicare ciò che faceva Viviani, con 27 personaggi sulla scena”.
La scenografia?
“Sarà astratta e concreta allo stesso tempo. Uno spazio libero dove recuperiamo pezzi di questo mondo del musical. E sarà una scena abbastanza mobile da ospitare tanti piccoli fatti che accadono. Con una presenza in scena speciale, quella di Viviani, come un angelo o un dio che guarda il nostro mondo. Abbiamo ricostruito, infatti, una edicola votiva sacra, come si vedono nelle strade di Napoli. Ma, invece di un ritratto della Madonna, c’è la foto del nostro autore”.
Il rapporto speciale con Napoli?
“Mi sento legato a filo doppio a questa città, quando arrivo da voi ho subito l’impressione di appartenere a Napoli, alla sua cultura. Tutto mi parla, tutto mi interessa. È qualcosa di molto profondo che non mi ha mai fatto sentire straniero".
E da che cosa dipende?
“Credo dalle mie radici argentine, che sono molto vicine a quelle napoletane, e che sono composte da tante diverse culture. Portare in scena Viviani è quindi per me una grande responsabilità ma che non sento come un peso. Anzi la percepisco come un regalo”.



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