Ars oratoria e ars teatrale linguaggi da reinventare

di Domenico Ciruzzi

Credo sia un dato acclarato che i grandi testi scritti per il teatro abbiano raccontato la realtà contemporanea dell’autore. Shakespeare racconta il suo tempo così come Molière o Eduardo che visse l’immediato dopoguerra come fonte di ispirazione delle sue opere. E oggi chi e come, con quale linguaggio, racconta l’oggi a teatro? Ritengo che la riflessione sullo stato attuale della recitazione teatrale presenti alcune analogie con le considerazioni sullo stato dell’oratoria forense contemporanea. Ed invero, nei tribunali la grande tradizione oratoria forense da tempo è in crisi ed urge una sua ricostruzione che faccia i conti con la massificazione del linguaggio televisivo che ha rivoluzionato la comunicazione tra gli uomini ed ha reso improponibili forme di oratoria pre-televisiva nella contemporaneità dei tribunali elettronici. In un contesto pre-massmediologico, i grandi oratori comunicavano in modo completamente differente, ispirandosi principalmente a linguaggi dettati dai tempi e modi di un quotidiano non virtuale ma realistico, naturale, oggettivo. In un contesto pre-televisivo, lo svolazzar di una toga o l’improvviso urlo retorico di sdegno, o lo sgranar d’occhi simulando orrore, rappresentavano una “rottura” dei tempi e dei toni usuali che la generalità dei cittadini utilizzava quotidianamente. Più semplicemente, nell’epoca pre-televisiva, l’immaginifico avvocato spesso con la sua arringa riusciva a realizzare lo “stupore retorico” instillando nell’ascoltatore gocce di meraviglia. Se si aggiunge che in tale epoca non si riusciva ad avere notizia alcuna di omicidi e violenze in tempo reale o comunque, certamente, non si conoscevano simultaneamente perfino i dettagli di centinaia di omicidi, storie, orrori e passioni, si comprende che allora il racconto forense “catturava” l’ascoltatore anche in forza dell’insolito contenuto narrativo. Le grandi arringhe del passato, se riproposte decontestualizzate nel presente post-televisivo, svaporano la loro originaria straordinaria suggestione narrativa. Dunque, è necessario sperimentare nuovi sentieri esplorativi per ricostruire l’arringa contemporanea.
È un’operazione improba ma già la consapevolezza di dover ricostruire necessariamente è un risultato importante, piuttosto che illudersi che il mitico potere persuasivo oratorio del passato possa un giorno, d’emblée, magicamente riapparire. Dal Duemila in poi, è infatti doveroso immaginare un giovane avvocato penalista (e analogamente un giovane attore) che dopo essersi liberato di desueti modelli oratorii imitativi, falsi perché “re-citati” e decontestualizzati, inizia a discostarsi anche dal linguaggio e dalla gestualità mutuata dai “mezzobusti” televisivi. “Nel processo contemporaneo quando il corpo del detenuto viene condotto davanti alla corte – scrive Paul Virilio – i microscopi elettronici, gli spettrometri di massa e i videografi a lettura laser lo avvolgono in un implacabile circo elettronico. L’architettura del teatro giudiziario diventa una sala di proiezione cinematografica, poi un’aula video, e i diversi avvocati attori della difesa perdono ogni speranza di crearvi con i mezzi a loro disposizione un effetto di realtà in grado di soggiogare i giurati e il pubblico per i quali i videoregistratori, il minitel, la televisione e altri schermi di computer sono diventati un modo quasi esclusivo per informarsi, per comunicare, per apprendere la realtà e muoversi in essa. Come riuscire ad ottenere ancora tutti gli effetti plateali, i colpi di scena che costituivano la gloria dei vecchi principi del foro? Come creare lo scandalo, la sorpresa, la commozione sotto lo sguardo dei tribunali elettronici capaci di anticipare e di tornare indietro nel tempo e nello spazio, davanti a una giustizia divenuta ora l’estremo esito tecnologico dell’impietoso più luce del terrore rivoluzionario, la sua perfezione stessa?”. Conseguentemente, anche i contenuti dell’arringa contemporanea devono mutare rispetto al passato: se il racconto del sangue della vittima o la descrizione del luogo in cui fu rinvenuto il cadavere un tempo creavano stupore e attenzione negli astanti, oggi chi assiste ad un processo raccontato dai media ha già visto in TV “quel sangue” e “quel cadavere”. In ragione di ciò, sarà modificato anche il contenuto dell’arringa in quanto diventa del tutto inutile soffermarsi nella descrizione di ciò che, essendo noto già a tutti, non soltanto non creerà alcuna attenzione nell’ascoltatore, ma rischierà di apparire un deja‑vu tediosamente sovrabbondante. Credo che il teatro contemporaneo possa analogamente soffrire problematiche simili. La realtà oggi è raccontata esclusivamente dal totalitarismo informativo-mediatico che inevitabilmente irradia racconti falsificati che, contrabbandati come oggettivi e neutrali, sono in realtà racconti di parte perché le fonti sono governative-istituzionali e in numerosi casi di stampo prettamente poliziesco. Si pensi alla nostra città, Napoli, raccontata dai TG che si nutrono soprattutto di cronaca giudiziaria intrisa necessariamente di racconti di polizia la cui effettiva “affidabilità” sarà verificata dalle sentenze dei tribunali dopo decine di anni, sovente smentita radicalmente da silenti assoluzioni. Nel frattempo, gli spettatori dei TG avranno percepito come vera una falsa rappresentazione della realtà. Ritornando alla domanda iniziale – chi racconta l’oggi al teatro – significa chiedersi chi, in tale contesto di reiterate falsificazioni, riuscirà a raccontare pezzi di verità sommerse da schegge di informazione fuorviata. Chi riuscirà ad illuminare ed a far apparire decine e decine di migliaia di eroi invisibili totalmente oscurati dai racconti polizieschi- giudiziari dei Tg? Di contro, un sentiero esplorativo da iniziare a percorrere per creare un testo ed una recitazione teatrale contemporanea, lungi dal ricostruire ulteriori finzioni, dovrebbe essere quello di “conoscere scrupolosamente quale sia la realtà e umilmente raccontarla”. Un testo contemporaneo deve trascendere la realtà esplorata offrendo una testimonianza di una possibile verità alternativa, reinventando, come per l’ars oratoria, nuovi linguaggi espressivi che non siano re-citazioni come, invece, purtroppo sempre più spesso si registra assistendo agli spettacoli in cartellone nei teatri italiani. Soltanto valorizzando la mancanza della “quarta parete” e producendo emozioni con un linguaggio ribelle che reinventi la contemporaneità, sarà possibile vivificare lo spettacolo teatrale che allo stato appare sovente decontestualizzato ed improduttivo di magie.


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