DELITTO/CASTIGO - Due voci per Dostoevskij

Rubini e Lo Cascio: sperimentazione al servizio di un grande romanzo

di Viola De Vivo


Per Sergio Rubini il teatro è luogo di sperimentazione: l’attore e regista pugliese sceglie di portare in scena un romanzo. Ma non un romanzo qualsiasi, di facile lettura: stiamo parlando di Delitto e Castigo, l’opera più celebre di Fëdor Dostoevskij, autentica pietra miliare del realismo russo. L’appuntamento è al Bellini di Napoli dal 27 febbraio al 4 marzo (coproduzione Nuovo Teatro e Fondazione Teatro della Toscana). Il lavoro di Sergio Rubini su Delitto e castigo inizia nel 2014 con Una sera delitto, una sera castigo, pièce ideata per l’Argot Studio di Roma, culla del teatro sperimentale. Si svolgeva in due distinte serate, dedicate una al delitto e l’altra al castigo, con co­protagonista Piergiorgio Bellocchio. Dalla compressione di quel nucleo nasce lo spettacolo che Rubini propone oggi, in una veste più adatta ai grandi teatri: titolo più fedele all’originale (Delitto/Castigo), una sola serata, un nuovo partner scenico, Luigi Lo Cascio. Il capolavoro dostoevskiano racconta di Raskol’nikov, giovane strozzato dai debiti, che uccide un’usuraia; tenta di
convincersi che l’omicidio, poiché ha liberato dal giogo molti poveri, non è condannabile né motivo di pentimento: è anzi la dimostrazione della sua appartenenza ad una categoria superiore, i “napoleonici”, autorizzati a vivere al di sopra della legge perché le loro azioni hanno come fine il bene comune. A poco a poco, però, affiora in lui la consapevolezza di non riuscire a sfuggire al senso di colpa e al terrore di essere scoperto: deve rassegnarsi quindi a far parte della categoria dei “pidocchi”, e a meritare una punizione. La natura bitonale di Delitto e castigo, in cui il racconto in terza persona è continuamente interrotto dal pensiero del protagonista, si presta molto bene a una lettura a due voci come quella offerta da Rubini e Lo Cascio. La scelta dei brani è volta non a ricostruire fedelmente la vicenda, ma a riprodurre uno stato d’animo anche in chiave sensoriale, grazie a un rumorista e una cantante. L’indagine dostoevskiana mette a nudo una condizione senza tempo: l’animo umano che fa i conti con le proprie azioni, più o meno colpevoli. Alla fine lo spettatore capisce che per Raskol’nikov la necessità di uccidere nasce proprio dalla pena: il confine tra delitto e castigo è più sfumato di quanto si crede.



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