Gli 80 anni di Santanelli

Quei “naufraghi” nati dalla famiglia di Eduardo


di Roberto D'Avascio

Manlio Santanelli si avvia a festeggiare gli 80 anni, dopo averne dedicati 40 al teatro. L’11 febbraio prossimo, giorno del compleanno, il Nuovo Teatro Sanità metterà in scena una sua nuova pièce, Una domanda di desiderio, con la regia di Mario Gelardi; mentre il San Ferdinando, dal 18 ottobre, presenterà Uscita di emergenza, lo storico testo che nel 1978 lo impose alla scena nazionale. Un po’ di anni dopo, Santanelli dichiarò che la sua drammaturgia otteneva maggiore risonanza all’estero che in Italia. Oggi ha la stessa convinzione? “Il dato – esordisce il drammaturgo – è confermato dal numero di rappresentazioni che le mie opere hanno avuto in tutta Europa, negli Usa e in Sud America”. E In Italia? “Soprattutto al Nord c’è ancora resistenza a ricevere spettacoli partoriti dal Vesuvio, a meno che non siano cabaret. Recentemente un altro mio testo, Il Baciamano, è stato rifiutato da un circuito del Nord proprio perché in giro c’erano già troppi spettacoli napoletani di cabaret”. La risposta suscita una domanda: che tipo di spettatore va oggi a teatro? “Un pubblico che vuole ridere facilmente e non ha più la pazienza di riflettere su uno spettacolo, perdendo anche delle occasioni. Perché il mio teatro non è cupo. Ha una disperazione di fondo, è vero, che però è mitigata da un’ironia pronta a sconfinare nella comicità. Comicità amara ma, comunque, comicità. Come il grande teatro di carattere, quello di Molière, per esempio”. Napoli non è stata avara nei confronti di Santanelli. Lo ammette egli stesso: “Qui ho sempre avuto il mio spazio. Non sono presente come potrei, perché non frequento circuiti privilegiati. Questa città, anche a teatro, ha una inclinazione verso la famiglia, che diventa a volte clan e malaffare, condividendo le stesse logiche della camorra. Il mio spazio dipende solo dalla qualità di quel che scrivo. Potrei avere di più se fossi un po’ ruffiano. Ma io preferisco vivere del mio dignitosamente, rifiutando progetti che rispondono a logiche mercantili o di potere”.
La riflessione ne suscita un’altra, sulla distribuzione che, secondo il drammaturgo, nei teatri più importanti “è improntata alla vendibilità degli spettacoli, condizionati a loro volta dal gusto del pubblico che, però, si forma anche in base alle proposte della distribuzione. È un circolo vizioso. “Ho notato che nel cartellone del Bellini sette spettacoli su dodici sono tratti da film. Oggi il teatro attinge dalle colonne sonore e dai dialoghi del cinema. In passato succedeva il contrario, era il cinema che attingeva dal teatro”. Un segno della crisi? “Credo che il momento difficile riguardi, soprattutto, la scrittura del teatro. Anche gli autori soffrono le incertezze della distribuzione. Se da parte della committenza non c’è un minimo di rischio, i giovani drammaturghi non vedranno mai la luce del sole”. Un drammaturgo importante, che compie 80 anni, in che modo si aspetta di essere celebrato? “Il primo teatro che si è esposto è stato il Nuovo Teatro Sanità, dedicandomi una intera settimana. Poi c’è lo Stabile di Napoli - Teatro Nazionale, con il San Ferdinando; e ci saranno sicuramente altri spettacoli in giro, ma non mi sento di dire ci sia una città disposta a celebrare qualcosa. Napoli ha altri problemi cui pensare. Questi numeri tondi sono solo delle tappe. Forse a 80 anni è doveroso fare un bilancio, ma io ho tante cose da dire, e spero di poter avere ancora tempo per dirle”. Un’ultima riflessione riguarda la critica, che inserisce Santanelli nel teatro del dopo Eduardo. E lui: “Mi sento suo erede quanto di Pinter o di Ionesco. Il fatto che io scriva in napoletano non significa che sia un autore ‘napoletano’. Sono un autore italiano nato a Napoli. Ho dietro di me anche Viviani, Scarpetta, Petito, fino a Basile, però ho contemporaneamente alle spalle letture importanti come Conrad, Melville e Cervantes”. Ed è proprio questa vicinanza-lontananza nei confronti di Eduardo che induce Santanelli a concludere: “Siamo entrambi napoletani, ma abbiamo vissuto in epoche diverse. Se Napoli fosse un albergo, io potrei avere dormito nella stessa stanza in cui è stato lui prima di me, ma non è detto che alla fine abbiamo fatto gli stessi sogni”. E poi: “Gli autori che vengono dopo Eduardo negli anni ’70 hanno studiato l’antropologia, la psicoanalisi, sono andati alla ricerca di archetipi: hanno descritto il perturbante, che in Eduardo non è molto presente; così come la diversità e la marginalità. Eduardo indagava sulla famiglia, noi su coloro che lei ha espulso: i naufraghi della società”.


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