La Rivoluzione francese secondo Wu Ming

Per Pino Carbone la sfida di rappresentare il vasto romanzo storico del collettivo di scrittori

di Maddalena Porcelli


Sarà dal 2 al 4 novembre al Teatro Nuovo di Napoli L’armata dei sonnambuli di Wu Ming diretto da Pino Carbone, lo spettacolo che, con particolare consenso, ha fatto il suo debutto nazionale nell’ambito dell’ultima edizione del Napoli Teatro Festival Italia. Prodotto dall’Ente Teatro Cronaca Vesuvio, nasce da un’idea di Andrea De Goyzueta, che è anche in veste di attore, assieme a Francesca de Nicolais, Michelangelo Dalisi, Renato De Simone e Rosario Giglio. Da un romanzo storico di circa ottocento pagine sulla Rivoluzione francese alla rappresentazione teatrale il passaggio non è stato facile. “La maggiore difficoltà è derivata dal trovarci di fronte all’enorme mole di materiale proposto nel testo dal collettivo di autori che si fa chiamare Wu Ming”, dichiara Carbone. “Loro hanno un carattere storiografico, meticoloso e una quantità di personaggi che a una prima lettura ci era
no sembrati imprescindibili da quelli che poi abbiamo individuato come principali e sui quali ci siamo concentrati. Con Linda Dalisi, che si è occupata della drammaturgia, abbiamo deciso di rappresentare le loro storie personali senza intrecciarle con quelle degli altri, come accade nel romanzo. Sintetizzarne il percorso è stato un processo complicato. Il vantaggio ci è derivato dall’alta considerazione attribuita al teatro dai Wu Ming. Il testo, infatti, è già strutturato come
un’opera i drammaturgia, con le sue scene e i suoi atti”. La Rivoluzione letta dal basso, e non come un mito imposto dalla Storia, è un’occasione preziosa, anche dal punto di vista dell’analisi teatrale. “Sono nati dei personaggi, quattro, più un quinto che è un narratore esterno e, quindi, delle vicende attraverso cui indagare la Storia da una prospettiva altra”, continua il regista. “Ognuno dei personaggi principali si fa portatore di
esigenze concrete, che entrano nel processo rivoluzionario spinte dalla necessità di rendere collettiva l’esperienza e, chiaramente, si scontrano con la logica dei professionisti della politica, che hanno come interesse primario la gestione del potere e sentono come una minaccia la partecipazione collettiva, dopo averne sfruttato le risorse”. Il pensiero riflette in qualche modo l’approccio artistico di Carbone, che continua: “Penso a un teatro collettivo, di cui il pubblico sia parte integrante, che sia comunicativo, politico e sociale. Penso a una scrittura scenica che possa collocarsi anche al di fuori delle sale tradizionali, un luogo nel quale tutti gli elementi costituiscano la ragione formale e concettuale dell’azione scenica; un teatro, quindi, che intervenga nel sociale, laddove avviene l’incontro con la collettività, che sia capace di assumerne le forme, i modi e gli elementi strutturali essenziali”.


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