L'APPARENZA INGANNA - La vita, gioco di maschere che si specchia nel teatro

Tiezzi dirige la pièce di Bernhard. In scena Lombardi e Verdastro

di Viola De Vivo

Due anziani fratelli, artisti in pensione: Karl, giocoliere (interpretato da Sandro Lombardi), e Robert, attore (Massimo Verdastro). Il martedì Robert va da Karl, il giovedì viceversa. Questo rituale va avanti dalla morte di Mathilde, moglie di Karl, che curiosamente ha lasciato la casetta dei week-end in eredità a Robert. L’apparenza inganna, scritto nel 1983 da Thomas Bernhard, sarà in scena al Teatro Nuovo di Napoli dal 17 al 21 gennaio (produzione Associazione Teatrale Pistoiese – Compagnia Lombardi-Tiezzi). Sandro Lombardi e il regista Federico Tiezzi, vincitore per questa pièce del premio Ubu nel 2000, lo presentano.
In scena due personaggi in apparenza diversissimi tra loro: quali sono i tratti salienti delle loro personalità, e quale il rapporto che li lega?
“Karl si presenta con un carattere forte, prevaricatore, sempre critico nei confronti del fratello e del mondo intero. Robert appare debole, malato, timido. Ma, come dice il titolo, l’apparenza inganna, e alla fine scopriremo che il vero ammalato, forse in pericolo di vita, è Karl. Bernhard immerge magistralmente entrambi nella dimensione di solitudine e sofferenza di un mondo che sembra non aver più bisogno degli anziani. I punti in comune tra i due superano ampiamente le differenze: solitudine, ma anche una capacità quasi stregonesca di far rivivere il passato, una tenerezza reciproca nascosta, un’intelligenza acuta, dolorosa e penetrante, una irriducibile diversità rispetto alla mentalità borghese del loro ambiente”.
Karl e Robert sono entrambi artisti. Cosa rappresenta l’arte in questo copione?
“L’arte, e più in generale l’attività dello spirito, è una delle ossessioni nell’opera di Bernhard: i suoi personaggi sono attori, registi, filosofi, musicisti, critici… Il loro rapporto con la creazione artistica non è mai solo di fruizione estetica, ma investe il senso profondo della vita: l’arte non si limita ad abbellirla, ma costituisce lo strumento principale per servirsene. Ed è anche fonte di dolore: fallimenti, delusioni, insuccessi costellano l’esistenza dei personaggi, gettando sul loro destino un’ombra di nichilismo non troppo diverso da quello proustiano”.
Qual è il ruolo di Mathilde, che pur da morta tiene sotto scacco le esistenze dei due fratelli?
“Mathilde emerge proprio in virtù della sua assenza. Considerata con sufficienza da Karl, aveva stretto un legame di tenerezza e sostegno reciproco con Robert, cui lascia in eredità l’unica proprietà che possiede. Questa predilezione indispettisce oltremodo Karl e percorre tutto il suo rapporto con Robert. Solo alla fine, dopo aver celato il proprio dispetto tra le righe, parlando d’altro, riuscirà a dirgli: ‘Che Mathilde abbia lasciato a te la casetta dei week-end, mi irrita’".
Un copione è fatto di parole, eppure qui hanno importanza il non detto, il silenzio. Per quale motivo, e come sono valorizzati questi aspetti nella messa in scena?
“Per tutto lo svolgimento della pièce i veri punti di frizione tra i due fratelli non vengono mai affrontati, se non parlando d’altro e bisticciando su futili questioni. Lo spettatore viene a sapere dei veri motivi di conflitto solo quando i due, specularmente, Karl nel primo atto e Robert nel secondo, si trovano da soli nelle rispettive case e aspettano la visita dell’altro. Aprendosi con due monologhi, i due atti svelano ciò che nascondono l’uno all’altro e che li divide”.
Nelle note di regia si legge che questo testo offre agli attori «un combustibile straordinario»: in che senso?
“La drammaturgia di Bernhard offre agli attori una quantità ricchissima di spunti recitativi: dai silenzi gravidi di pesanti omissis alle esplosioni di aggressività, attraversando tutti gli stati intermedi che si possono immaginare nel rapporto tra due anziani fratelli che, forse, non sono mai riusciti a dirsi veramente quello che pensano l’uno dell’altro”.
Si avverte l’influsso della filosofia di Kant e dell’idealismo, secondo cui non possiamo conoscere la realtà com’è, ma soltanto come ci appare. L’apparenza inganna si può leggere come metafora del teatro, dimensione sempre in bilico tra verità e finzione?
“È proprio così. La realtà ci sfugge dietro i suoi mascheramenti. E il teatro, e lo spettacolo in genere, sono la metafora più calzante per questo gioco di inganni e di mascheramenti che l’uomo ingaggia con la realtà che lo circonda”.


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