La Lojodice una primadonna ritrovata. In "Copenaghen" con Popolizio e Orsini

Di Gianmarco Cesario

Nel marzo 2015 era arrivata la notizia, da lei stessa confermata, di un addio alle scene. Un addio che sapeva di dolorosa consapevolezza di chi, dopo aver attraversato, da protagonista, oltre cinquanta anni la scena teatrale italiana, fa i conti con un sistema trasformato in mero commercio. È, quindi, con felice stupore che il suo pubblico, ancora numerosissimo ed affezionato, ha salutato la notizia di un ritorno di Giuliana Lojodice, con uno spettacolo bello e intelligente, di cui già anni fa fu interprete, con il medesimo cast. Si tratta di Copenaghen di Michael Frayn, con accanto due attori di alto lignaggio quali Umberto Orsini e Massimo Popolizio, il primo produttore con la neonata Compagnia Orsini insieme allo Stabile del Friuli Venezia Giulia. “Umberto ha insistito molto affinché, in questa riedizione il cast rimanesse lo stesso di 18 anni fa, ed io, nonostante la mia decisione di lasciare le scene, alla fine ho ceduto”, così l’attrice racconta di questa, ci auguriamo non occasionale, deroga alla sua decisione di tre anni fa. Copenaghen racconta la storia di un immaginario incontro tra il fisico danese Niels Bohr (Orsini), sua moglie Margrethe (Lojodice) e il di lui allievo, il tedesco Werner Heisenberg (Popolizio). Il loro tentativo è di chiarire che cosa avvenne nel loro precedente incontro, avvenuto nel 1941 in una Danimarca occupata dai nazisti. Entrambi coinvolti su fronti opposti nella ricerca scientifica, probabilmente vicini a ciò che avrebbe portato alla bomba atomica, gli scienziati ebbero una conversazione nel giardino della casa di Bohr, il cui contenuto ancora oggi resta un mistero su cui sono state avanzate numerose ipotesi che il drammaturgo Frayn mette in scena in tutte le loro declinazioni, in un testo serrato, complesso, ma estremamente avvincente. “È stato bellissimo riaffrontare il personaggio di Margrethe, con la maturità che in questi diciotto anni ho acquisito: gli atteggiamenti, che allora per me furono di donna appassionata e a tratti anche antipatica, nei confronti soprattutto di Heisenberg, ora li ho modificati, anche grazie ai suggerimenti di Popolizio, in quelli di una donna con maggiore interiorità e spirito riflessivo”. Lo spettacolo, che porta la firma del regista Mauro Avogadro, arriverà a Napoli dal 25 aprile al 6 maggio al teatro Diana, e l’attrice si è detta “molto emozionata, e, perché no, anche preoccupata: il pubblico in questi anni è molto cambiato, e spero di ricevere, così come sta accadendo in tutta Italia, una bella sorpresa anche dai napoletani, nel teatro nel quale sono stata accolta sempre con affetto, e che mi lega anche al ricordo di Aroldo”. Già, Aroldo Tieri, mezzo secolo di teatro e vita in comune, un artista purtroppo trascurato dalla memoria collettiva: “Noi attori di teatro, ahimè, scriviamo sull’acqua. Sembra quasi che Aroldo (ma non solo lui) non sia proprio esistito. Per fortuna c’è stata tanta televisione, quella di qualità, che in quegli anni ci ha fatti conoscere al pubblico, che poi veniva a trovarci in teatro, e ora qualcosa rimane nelle teche Rai”. Tanta televisione, ma poco cinema, poco più di una dozzina di film, tra cui spiccano, però due vincitori di Oscar, La dolce vita e La vita è bella. “Sono molto polemica col cinema italiano: è miope nei confronti degli attori con una formazione teatrale, soprattutto se non più giovani e con un’immagine che non appaga il facile gusto estetico dei nostri registi. Purtroppo siamo lontani dall’Inghilterra, dove tutto viene valutato e non sopravvalutato”. E lei, che ha recitato di tutto, dalla commedia musicale di Garinei e Giovannini ai grandi autori del teatro internazionale, da Eduardo a Joyce,  davvero non ha nulla da invidiare alle grandi attrici al di là della Manica. Per fortuna il suo pubblico lo sa e continua ad amarla.

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